Alcune buone ragioni per dire NO a questa Europa

                    di Roberto E. Paolini

Un NO forte e chiaro si è levato nelle giornate di venerdì e sabato dalla city milanese, dal cuore del Nord produttivo; un NO composto, non violento, libertario; noi non siamo bombaroli, non abbiamo scheletri nell’armadio, il passamontagna lo usiamo per le vacanze natalizie sulla neve, il casco per andare in motorino (non perché ce lo impone il ministro, ma perché la vita è il primo dei diritti).

Ma non per questo il nostro NO è meno efficace, soprattutto nel lungo periodo: noi infatti non vogliamo una rivoluzione, non siamo giacobini, vogliamo soltanto divulgare le nostre idee.

 Noi, appunto, e loro?  Loro sono tutti gli altri, l’establishment di destra-centro-sinistra  che compatti, tranne Rifondazione per motivi opposti ai nostri, hanno votato a favore della carta dei diritti.

 Ma cos’è questa carta? E’ un elenco di banalità. La summa di tutte le vecchie costituzioni ormai obsolete. Un elenco di diritti inutili, ripetitivi. I soliti diritto d’opinione, uguaglianza , sesso religione e bla bla bla. Cosa posso fare è in rerum natura. Le mie libertà positive, le libertà  “di”, le conosco. Se proprio volevano scrivere un Bill of  Right avevano come modello  quello americano, efficace, chiaro, dove ci si preoccupati di enunciare cosa lo stato non deve fare, i suoi limiti, ovvero le libertà negative, le libertà “da”.

Essendo questa europa sempre più impopolare tra la gente comune, si sono inventati questa cartina per ridare smalto ai loro progetti, sapendo di poter contare sulla stampa e sui media internazionali completamente asserviti alle logiche di potere. Questi signori sono i maggiori esponenti delle socialdemocrazie europee che, ormai consci delle loro politiche fallimentari, stanno garantendo a se stessi e ai loro portaborse un posto di lavoro ben remunerato nei palazzi della burocrazia europea. L’ intento dei signori di Nizza quindi è chiaro: pubblicizzare e legittimare una operazione politica in chiave buonista per mascherare il suo reale potenziale.

I cittadini europei, però, non sono stupidi: l’euro crolla e non passa giorno senza che arrivi l’inesorabile direttiva europea che ti dice come devi comportarti: no al cacao nel cioccolato, no al  forno a legna, sì alla frutta geneticamente modificata. Per non parlare delle norme dirette alle imprese su come devono lavare le mani i dipendenti, quale misure adottare per gli infortuni ecc. ecc.

E’ pertanto dovere morale di un libertario denunciare e smascherare questo disegno criminale.

Chi si batte contro il centralismo soffocante dello stato italiano che, da una parte, limita la nostra libertà personale attraverso una invadente produzione normativa, dall’altra, ci priva del frutto del nostro lavoro espropriando più della metà delle nostro reddito con lo strumento della tassazione, non può rimanere in silenzio di fronte l’avvento di un superstato, brutta copia dei vecchi stati nazionali ma con una capacità predatoria molto più invasiva e opprimente; chi non sopporta più il loro insopportabile peso non può che aborrire di fronte a questa nuova finzione in virtù della quale i soliti parassiti ( partiti, sindacati, burocrati ) cercheranno di vivere sulle spalle dei produttori.

Le forze politiche che in Italia si battono per la devolution, come giustificano questa sorta di “devoluzione al contrario” di poteri?

Non saremo più liberi se ci allontaniamo da Roma per avvicinarci a Bruxelles.

Per questo, io credo che, oggi, la madre di tutte le battaglie, per un libertario anarcocapitalista, è sul diritto di secessione da questo nuovo superstato: come in tutte le associazioni volontarie, come in qualsiasi contratto, deve esserci anche la possibilità di tornare indietro. Il primo e fondamentale diritto di un carta dei diritti veramente rispettosa della volontà degli individui deve essere il right to exit, il diritto di uscita, il divorzio istituzionale; ma come si può pretendere una sensibilità di questo tipo da parte di euroburocrati, predatori di poltrone, tutti schierati per, guarda caso, l’allargamento ad est della Ue, cioè sul “diritto” all’entrata dei paesi un tempo dominati dai loro amici sovietici? Possiamo lasciare che i nostri figli vengano imbrigliati da una nuova carta, altro dogma laico che per decenni dovranno fingere di venerare per non essere trattati come paria, come se non bastassero già i sepolcri imbiancati delle vecchie costituzioni nazionali?  Come pretendere da chi nemmeno ci ha chiesto se volevamo entrare (tramite referendum), una via per uscire?

C’è un’alternativa a questa prospettiva? Secondo me sì:  è l’altenativa liberista e federalista dei liberi comuni, delle piccole patrie, è l’europa pluricentrica delle microcomunità in competizione tra loro che sappiano sfruttare tutti i vantaggi della globalizzazione (quella economica, non quella politica e culturale). Sono, quindi, per la proliferazione  di sani micronazionalismi - inoffensivi in quanto piccoli -  e per preservare quelli già esistenti come il Principato di Monaco e la Repubblica di San Marino.

Mi piacciono le diversità, aborro l’europeismo omologante dei Prodi.

 

10 dic 2000   (pubblicato sul quotidiano l'Opinione del 14 Dic 2000 e sul quotidiano on-line Cronache.it)

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