Bastiat, “Liberista di Dio”

di Roberto Enrico Paolini

Sabato 10 Marzo, in quel di Lecco, si è tenuto un convegno per celebrare il bicentenario dalla nascita di un grande uomo, oltre che di un grande pensatore dell’Ottocento, Bastiat appunto. Nell’aula magna del nuovissimo ospedale A. Manzoni si è infatti dibattuto sul tema “Fede, mercato e società”, parole queste che riassumono brevemente il pensiero di questo coraggioso “apostolo della libertà individuale”.

Alla tavola rotonda hanno partecipato i prof. Ricossa, Lottieri, Bramoulle, il presidente del “Liberal Institut” di Zurigo, R. Nef, il governatore della Lombardia Formigoni, Ronza, editorialista de “il Giornale” e infine il prof. Martino; tutto sotto l’abile regia di Alberto Mingardi, editorialista di “Libero”, e con la generosa partecipazione anche finanziaria della Compagnia delle Opere e dell’Unione dei Commercianti Lecchesi.

Bastiat, “chi era costui?” si chiederanno in molti; ai più, infatti, il suo nome non suona familiare, ma, si sa, in Italia quelli che hanno il tempo di leggere sono di sinistra, spesso si tratta di quelle presenze oziose e inutili che affollano gli uffici pubblici; gli altri, i comuni cittadini, lavorano, producono benessere per mantenere i propri aguzzini, e alla sera non hanno più la forza di prendere in mano un libro.

Bastiat, uomo di provincia, li conosceva bene questi ultimi, ed era dalla loro parte. “Lo stato è la grande finzione attraverso la quale tutti si sforzano di vivere sulle spalle degli altri” diceva. Egli, verso la metà dell’Ottocento, comincia la sua battaglia contro i socialisti, le loro tendenze ugualitaristiche, il loro “costruttivismo” per dirla alla von Hayek. Si scaglia contro la “comunità legale”, per indicare un ordine giuridico che pretende, attraverso lo strumento oppressivo della legge, di unire gli individui contro la loro volontà in strutture anonime, burocratiche, coercitive. Per lui non è lo stato che crea la comunità, non è la legge che costituisce i diritti. Bastiat è un giusnaturalista, è per gli ordini spontanei che si formano nel tempo grazie alla interazione e alla volontà delle persone. L’uomo, fin dai tempi più remoti, è proprietario, anzi nasce proprietario. La proprietà non deve essere giustificata, è lì, è evidente: l’uomo ha dei bisogni da soddisfare, e per farlo si approria di quello che la natura gli mette a disposizione. Separarlo da ciò che è diventato suo vuol dire ucciderlo. Dunque, “non è perché ci sono le leggi che ci sono le proprietà, ma è perché ci sono le proprietà che ci sono le leggi”: per garantirle e tutelarle, gli uomini possono decidere di fondare delle istituzioni.

Bastiat si scaglia quindi contro lo stato sociale, che pretende di imporre fraternità e solidarietà per legge: lo descrive come immorale e dannoso. Immorale perché tenta di sostituire la mano invisibile di Dio con qualcosa di artificiale ed autoritario, dannoso perché cancella la responsabilità individuale; tutti, a causa dell’interventismo statale, saranno portati a pensare che sia qualcun altro (lo stato, appunto) a dover fare qualcosa per i più deboli, annientando così il senso di carità verso il prossimo.

Ecco allora che Bastiat si pronuncia a favore di uno Stato minimo che non tenti di spoliare gli individui delle loro proprietà, ma che si adoperi soltanto per proteggerle.

“Laissez faire” è la sua ricetta. Egli è convinto che gli uomini sappiano meglio di qualunque legislatore ciò che vogliono e come ottenerlo; basta lasciarli fare, lasciali liberi di interagire tra di loro. Le leggi economiche sono leggi di natura e quindi di Dio. Chi, come lo stato, attraverso regolamenti o prelievi fiscali, intralcia  il naturale funzionamento del mercato, distorcendo così l’armonia delle sue leggi, ostacola il disegno divino. Per Bastiat, l’etica “si compie” nel libero mercato.

Ecco perchè “liberista di Dio” (come lo definisce il prof. Ricossa): raccoglie in poche parole il pensiero di un grande economista, politico, filosofo. Ma, prima di tutto, un uomo di buon senso, merce oggi assai rara.

(pubblicato il 14 Marzo 2001 sul quotidiano L'Opinione)

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