La religione di chi stacca i crocifissi

 di Alberto Mingardi

 

“Il politico forse non sarà capace di pensare una stupidaggine, ma di dirla è sempre capace”. Ecco, questo aforisma di Gómez Dávila potrebbe essere un degno epilogo, e la giusta sintesi, di quella “guerra del crocefisso” con cui si sono gingillati, nei giorni scorsi, alcuni nomi (e firme) celebri. Non vorrei sembrare presuntuoso, o snob, o tutt’e due: ma mi sembra proprio sia stato un dibattito nel quale i diversi contendenti si sono limitati a palleggiarsi stupidaggini tutto sommato innocue, o più pericolose illusioni.

A dire il vero, tutto il ping-pong di articoli, dichiarazioni, sferzate s’è risolto nella nota a margine ad un’illusione. Quella che immagina nella scuola pubblica uno spazio “neutro”, privo di connotazioni forti, una sorta di palestra nella quale si è lasciati liberi di accostarsi a verità diverse per emergerne ognuno con la propria. Più che un’illusione, forse, si tratta di un dogma – e fra i più granitici e importanti nella vita politica di questo Paese, se lo stesso Capo dello Stato s’incarica di spolverarlo a giorni alterni.

Pubblico è sinonimo di “laico”: “laico” inteso come privo di contenuti religiosi. La scuola pubblica si propone dunque come una realtà nella quale la religione è strettamente confinata in un’ oretta settimanale, facoltativa per giunta. E, diciamola tutta: una materia senza voti né compiti in classe, comodamente a disposizione degli studenti per preparare la lezione dell’ora successiva.

Però pensare che aver confinato la religione cattolica in un cantuccio tanto angusto basti per aver bonificato dalle sue sensibilità e dai suoi problemi il grosso della formazione di una persona, se non è un’illusione è una stupidaggine. “Io non so chi mi ha messo al mondo né che cosa è il mondo né che cosa sono io stesso. Vedo questi impressionanti spazi dell’universo che mi rinchiudono e mi trovo attaccato a un angolo di questa vasta distesa, senza che io sappia perché sono stato collocato in questo luogo piuttosto che in un altro. Non vedo che infiniti da tutte le parti che mi rinchiudono come un atomo e come un’ombra che dura solo un istante”: come non capire che nello smarrimento di Pascal c’è l’esperienza umana fondamentale? Come pretendere che si possa rimanere zitti, che ci si possa astenere dall’osare un’ipotesi, davanti al mistero della vita?

E’ evidente che ci sono cose sulle quali è impossibile non riflettere. Domande cui non si può non azzardare una risposta. La scuola “laica” finge soltanto di fare scena muta. In realtà, si tiene ben strette un certo numero di verità: definite, e sarebbe il caso di ammettere anche questo, spesso in aperta opposizione rispetto a quelle della Chiesa. Lo scopo dell’istruzione pubblica, a monte, è dichiaratamente quello di sradicare alcuni “pregiudizi”: di sottrarre i bambini alle famiglie per inculcare loro una verità diversa da quella, “tradizionale”, di cui esse dovrebbero essere portatrici.

La scuola è obbligatoria poiché si dà per scontato che i genitori non sarebbero in grado di “educare” in un certo modo i propri figli. Al tempo, essa è un servizio gestito di fatto in monopolio dallo Stato perché lo Stato ritiene che il modo giusto di “educare” sia uno solo.

Ciò non significa affatto che l’istruzione pubblica sia “neutrale” riguardo ai grandi temi della fede, della morale, della politica. All’opposto, è schieratissima: come dimostra, del resto, la minuziosa regolamentazione cui sono sottoposti i programmi d’insegnamento. Come conferma l’ovvia constatazione che nelle aule sfilano docenti in carne ed ossa, coi propri credo e le proprie passioni, di cui non ci si può “spogliare” al suono della campanella.

Che il dogma della neutralità dell’educazione di Stato sia sventolato dalle forze di sinistra, non è una sorpresa. Ma dice qualcosa sulla sua penetrazione capillare il fatto che chi ha proposto di reintrodurre il crocefisso si è arrischiato a “laicizzarlo” pur di evitare di fare i conti con questa antica illusione. Così, la Croce è diventata ora un simbolo della nostra storia, ora un retaggio della nostra civilizzazione, ora un vessillo della nazione. Si è tentato (siamo davvero al paradosso) di svuotare l’immagine più tipica della cristianità di qualsiasi contenuto religioso. Se la sinistra ha agitato il fantasma della “ri-cristianizzazione” della scuola, la destra ha giocato sul terreno della “laicizzazione” di Cristo: dimostrando ancora una volta di mancare di argomenti e, quel ch’è peggio, di non avere il coraggio di spezzare e rimodellare le regole del gioco, quando queste sono palesemente assurde.

Che il crocefisso entri nelle classi come simbolo “laico”, come tributo alla storia patria, o ne stia fuori, cambia poco. Questa polemica, tuttavia, ha avuto il pregio di farci riflettere su quanto vuoto, quanto inconsistente sia qualsiasi ragionamento (e qualsiasi progetto di riforma) che non riesca a divincolarsi dall’illusoria pretesa che la scuola pubblica possa definirsi come un’enclave di placida neutralità rispetto al mondo che la circonda. E’ curioso che ancora si tema la faziosità di scuole private serenamente in concorrenza, quando si spaccia per “plurale” un’educazione iperideologizzata. Lo si faccia per l’ebbrezza di dire stupidaggini, o per la disperazione d’ancorarsi a un’illusione.

Alberto Mingardi, da Libero, 26.09.02

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