Ciao, Daniele

27 Marzo 2002 - Ci ha lasciato Daniele Vimercati. Un giornalista? Un presentatore? No, di più. Un uomo libero, un uomo coraggioso. Mentre i suoi colleghi signorsì facevano a gara per conquistarsi un posto in quelle prestigiose redazioni dove si confezionano le veline per i potenti, Daniele frequentava le stesse osterie di Umberto Bossi, in quegli anni un signor nessuno. La carriera veniva dopo. Prima la propria terra, la propria libertà. Ci credeva, quindi era credibile.  In Italia non è poco. Ciao Daniele, Braveheart del giornalismo italiano. By Cyberindividuo

Da allievo di Montanelli alla Tv

Daniele Vimercati era nato a Milano il 17 novembre 1957 ed era ancora residente a Bergamo, città della quale era originario e dove aveva iniziato a fare il giornalista. Vimercati era diventato giornalista professionista nel giugno del 1983. Da qualche anno dirigeva Telelombardia e conduceva Iceberg, il talk-show che è il programma di punta dell’emittente. In passato Vimercati aveva diretto il quotidiano “Indipendente” e il settimanale “Il Borghese”, prima era stato capo della redazione milanese de “Il Giornale” dove aveva iniziato la sua carriera sotto la guida di Indro Montanelli. Lo stesso Montanelli aveva consegnato sul campo a Vimercati la medaglia forse più scintillante: ospite in una sua trasmissione televisiva aveva definito il suo ex allievo «Un giornalista di razza». Esperto di federalismo “ante litteram”, Vimercati ha scritto numerosi libri sull’argomento. Vimercati fu uno dei primi a scoprire e indagare da vicino il fenomeno della Lega Nord. Nella sua carriera ha pubblicato alcuni libri insieme a Umberto Bossi sulla storia e sulle strategia del movimento. Negli ultimi mesi si era parlato di lui come possibile candidato per la direzione di un telegiornale della Rai. «Abbiamo perso una persona importante per tutto - dice tra le lacrime una sua collaboratrice - Un uomo gentile, disponibile, con una grande forza d’animo».

 

«Uomo libero e professionista imparziale»
Il dolore del mondo politico. Il ministro Castelli:
fu uno dei primi a interessarsi alla Lega
La morte di Daniele Vimercati ha suscitato, aldilà dell’appartenenza politica, un’ondata di cordoglio. «Il mio legame con Daniele Vimercati - ha detto il ministro della Giustizia Roberto Castelli - andava molto al di là di quelli che sono i consueti rapporti tra un uomo politico e un giornalista. Mi ricordo ancora quella sera di tanti anni fa quando nel mio ufficio di ingegnere si presentò un giovanotto alto, mandato dal suo maestro Indro Montanelli. Era Daniele Vimercati, ed era desideroso di capire chi fossero quei matti della Lega. Ora restano solo il vuoto e il dolore». Cordoglio è stato espresso anche dal vicepresidente del consiglio Gianfranco Fini e dai presidenti della camera, Pierferdinando Casini, e del Senato, Marcello Pera. Il capogruppo della Lega Nord alla Camera, Alessandro Cè ricorda «la grande sensibilità nell’interpretare le varie situazioni politiche, il suo fiuto nel captare gli eventi. Quando la Lega si trovò nei momenti di maggiore difficoltà, Daniele fu pronto a tradurne gli umori e spiegarne le motivazioni. Non era solo un bravissimo giornalista e un sofisticato biografo, era un amico». L’europarlamentare leghista Mario Borghezio: «Vimeracati fu uno dei pochi a credere nella Lega e nella causa della Padania quando ancora eravamo quattro gatti, dimostrando così cogliere il senso della nostra battaglia per il rinnovamento del Paese. Con la sua scomparsa perdiamo un grande cuore padano». Ma non è solo in casa leghista che la morte di Vimercati ha suscitato profondo dolore. Tutto il mondo della politica, con il quale il giornalista aveva pure avuto dei contrasti ha espresso grande cordoglio. Per Renato Schifani (Fi) «Il giornalismo italiano perde una delle penne più prestigiose e qualificate», Pietro Folena dei Ds, si è detto «profondamente colpito. Lo avevo apprezzato in questi anni per la sua indipendenza, la sua autonomia di giudizio, la sua imparzialità. Doti davvero preziose nel mondo dell’informazione attuale». Antonio Di Pietro: «Ricordo con profonda tristezza l’amico Daniele Vimercati, giornalista di grande talento, raro esempio di obiettività e professionalità». Per Alfonso Pecoraro Scanio (Verdi) Vimercati era «un professionista del pluralismo». Hanno espresso il loro dolore per la scomparsa del direttore di Telelombardia anche molti rappresentanti politici lombardi. Il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni: «Vimercati è stato un giornalista sempre molto attento e sensibile anche alle tematiche lanciate di volta in volta dalla Regione Lombardia». Il sindaco di Milano, Gabriele Albertini: «Un professionista che interpretava con successo un giornalismo dinamico e graffiante». La presidente della Provincia, Ombretta Colli: «un giornalista che ha saputo dar voce alla forza del cambiamento che ha caratterizzato queste terre».

 

Il segretario federale ricorda
il giornalista prematuramente scomparso
«Ci ha lasciato un amico»
Bossi: Vimercati ha sempre seguito la Lega con passione

di Gianluca Savoini

«L’ultima volta che l’ho sentito è stato il giorno in cui si stava ricoverando in ospedale. Era molto giù di morale, sapeva di stare molto male. Nel corso di quella telefonata ad un certo punto mi ha detto: “tu sei l’unico amico che ho”. Ho perso un vero amico, uno che è sempre stato dalla parte della Lega, da bergamasco vero qual era». Umberto Bossi ha appreso con grande dolore della morte di Daniele Vimercati, stroncato a 45 anni da una forma fulminante di leucemia. «Per me Vimercati rappresentava un pezzo di vita - racconta il segretario federale della Lega Nord -, un uomo su cui sapevo di poter sempre contare. Tutta la mia famiglia, mia moglie, i miei figli, sono rimasti attoniti come me dopo questa bruttissima notizia. Lui che non aveva figli, che grazie alla sua prestanza fisica e alla sua bella presenza aveva avuto una vita sentimentale intensa, sentiva i miei figli anche un po’ come suoi. Era uno di famiglia, insomma. Mancherà a tutti noi». Il segretario federale della Lega ci comunica da casa sua il dolore per la scomparsa del giornalista che per primo, negli anni Ottanta, cercò di capire da vicino quel fenomeno ancora misterioso, ma già osteggiato dal sistema partitocratico della Prima Repubblica, che si chiamava Lega Lombarda. «Incontrai Vimercati per la prima volta a metà degli anni Ottanta, a Bergamo - ricorda Bossi -, credo fosse il 1985 o giù di lì. Lui era stato inviato dal giornale per il quale lavorava, l’ Eco di Bergamo. Io tenevo un discorso all’interno di un teatro, in un periodo in cui per noi leghisti era duro fare politica. Avevamo un solo consigliere comunale, a Varese. Rischiavamo le botte, le aggressioni, ogni volta che mettevamo fuori la testa. Quella era la risposta del regime consociativo, dove Dc, Psi e Pci si spartivano il potere ed erano ben determinati a schiacciare sul nascere qualsiasi avversario che cercasse di cambiare il sistema. E nella Lega Lombarda erano già ben presenti la tenacia, la determinazione, la voglia di introdurre la “rivoluzione federalista” in questo paese. Ci accusavano di essere razzisti, venivamo aggrediti da picchiatori e delinquenti, alcuni anche mafiosi. Fare politica, per noi, era veramente molto difficile. Ma non ci tirammo mai indietro, rispondemmo con determinazione, in certi casi rispondemmo con le legnate alle legnate. E per poco, in quel primo incontro, il buon Vimercati rischiò di beccarsi uno sganassone».
Perché? Cosa fece Vimercati?
«Poneva delle domande in una maniera particolare, in un misto tra curiosità professionale ed ironia. Ad un certo punto mi sembrava volesse prenderci in giro e allora ero lì lì per mollargli uno sganassone. Il primo incontro con lui fu quindi piuttosto brusco. Ci rivedemmo in seguito, lui sempre inviato dal giornale bergamasco, ma credo soprattutto mosso da una simpatia immediata verso le nostre idee. Non dimentichiamoci che Vimercati era di Bergamo e Bergamo è il cuore etnico della Lombardia. E i bergamaschi veri stanno con la Lega».
Poi Vimercati venne assunto a “Il Giornale” e si trasferì a Milano.
«Diventando l’esperto di Lega per il quotidiano diretto da Montanelli, che vide in Vimercati un giovane molto sveglio e capace. Montanelli fin dall’inizio cercò di comprendere la nostra battaglia politica e ricordo con piacere certe cene a tre, Montanelli, Vimercati ed io. Cene di cui nessuno conosceva l’esistenza, ma che cementarono ulteriormente l’amicizia che ormai era nata tra me e Daniele. Un’amicizia vera che non subì mai alcuna flessione, neppure quando, anni dopo, non ci trovammo più politicamente in sintonia».
Vimercati divenne il suo biografo. Insieme avete scritto alcuni libri che all’epoca registrarono un notevole successo e suscitarono diffuso interesse. Come lavoravate insieme?
«Ci mettevamo seduti alla mia scrivania. Vimercati era armato di registratore e di cassette, aveva con sè quattro-cinque fogli che contenevano le domande, si cominciava di gran lena e si andava avanti per ore. In due giorni, massimo tre, era tutto finito. Daniele andava a casa sua e sbobinava le cassette, scriveva le bozze, poi le rileggevamo insieme. Non ci voleva molto tempo e quei libri servirono veramente molto per far conoscere la Lega Nord alla gente. Non avevamo a disposizione nessun mezzo, a parte i manifesti, il nostro “Lombardia autonomista” e i comizi, per propagandare il nostro progetto politico. Gli altri ci insultavano, ci attaccavano dalle tv e dai giornali, il sistema era coalizzato e compatto contro di noi. Quei libri rappresentarono un momento importante per la Lega, vista la loro diffusione».
Poi venne Mani Pulite e su questo punto Vimercati non la pensava come lei. La vostra amicizia ne risentì?
«Mai. Anche se Daniele reputava il fenomeno di Mani Pulite un beneficio per il paese, mentre io lo considero uno degli strumenti messi in campo dal vecchio sistema per non cambiare nulla e fermare la Lega. Il vero motto di quei giudici è venuto alla luce dieci anni dopo: resistere, resistere, resistere. Ovvero resistere al cambiamento incarnato dalla Lega, che venne messa persino sotto accusa con quella vergogna dei fantomatici 200 milioni. Fu lì che politicamente ci dividemmo, Vimercati ed io, ma l’amicizia restò sempre salda. Peraltro lui mi disse di sentirsi un po’ come don Chisciotte, stava sempre dalla parte dei perdenti, anche se non c’è molta logica in questo discorso. Mi disse quella frase quando ci alleammo con Berlusconi e andammo poi al governo».
Tutte le forze politiche hanno espresso il loro cordoglio. Ma possiamo dire che Daniele è rimasto, in cuor suo, sempre un vero amico della Lega Nord?
«Sì, Vimercati è stato un grande amico, mio personale e di tutta la Lega. E sempre lo rimarrà. Sono certo che sarebbe sempre stato con noi in difesa dell’identità dei nostri popoli».

(tutti i 3 articoli qui presenti sono tratti da La Padania del 27 marzo 2002)

Un Iceberg tra le nuvole
di Enzo Catania
  • Vimercati era cronista vero e perciò mai servile
  • Del suo "salotto" sono stati ospiti tutti i potenti
  • E lui li ha sempre affrontati con stile e coraggio 
  • Caro Daniele, farai audience anche lassù

“Le notizie non hanno colore politico”, mi diceva spesso Daniele Vimercati. “Dai - gli rispondevo - vuoi forse ignorare che ti mettono spesso l’etichetta di biografo ufficiale di Umberto Bossi?”. E allora Vimercati, con quel suo sorriso allegro, la pelata che sembrava allargarsi a ogni battuta, mi fissava serio: “Forse che non era una notizia l’aver capito in tempo che Bossi in certe zone avrebbe incominciato a spopolare e che la Lega Nord non  sarebbe stata affatto una meteora?”. Insomma chi gli aveva dato del perditempo e dell’illuso, poi era stato costretto a fare i conti con una realtà che Vimercati,  aveva intravisto, raccontato e anticipato con il taglio del cronista di razza. Sì, cronista! E per capire di che pasta fosse, guai dimenticare che dalla gavetta al successo non smise mai di chiedersi il chi, il come, il quando, il dove e il perché. Ecco il motivo per cui non poté mai essere né cortigiano, né servile. E io che l’ho conosciuto bene posso ben dirlo: di nessuno.

Lo davano in partenza per la direzione della Tgr, la testata regionale di Rai Tre. La sera però in cui glielo chiesi, mi guardò quasi con aria di sfida: “E tu credi che lasci facilmente la mia libertà per farmi ogni giorno pesare pensieri e parole?”. E rideva. Rideva sempre, con quella cocciutaggine del bergamasco che, essendo oltretutto nato nella seconda decade del novembre 1957, si portava cucito sulla pelle il segno dello Scorpione. “Pensa - mi capitava di sogghignare -anche Totò Riina è uno Scorpione. Scommetto che se tu riuscissi a portarlo ad Iceberg, con il tuo disincanto gli faresti dire ciò che nessuno è mai riuscito”. Già, Iceberg: è stata la trasmissione vincente di Daniele Vimercati, il talk show più seguito di quelli trasmessi dalle emittenti regionali, il salotto di "Telelombardia" dove, tra gli altri, sono andati a sedersi Silvio Berlusconi, Franco Bertinotti, Umberto Bossi, Pierferdinando Casini, Armando Cossutta, Massimo D’Alema, Antonio Di Pietro, Gianfranco Fini,  Francesco Rutelli, Walter Veltroni  e così via. “C’è un conduttore di talk show politici che è più bravo di Bruno Vespa e di Michele Santoro. E’ più bravo perché non è così spocchioso come i due sapientoni del video e perché non ha la Rai alle spalle”, ha scritto Aldo Grasso,  sul settimanale Sette del 21 febbraio, cioè poco più di un mese fa. “Vedi - mi disse una volta Indro Montanelli, spesso ospite di Vimercati a Telelombardia - conosco Daniele da anni. Ed ha una qualità che è di pochi: del personaggio studia vita e miracoli,  poi lo affronta con pacatezza, danda lo stoccata solo quando è necessario, ma senza mai lasciarsi prendere dalla mania di far audience e spettacolo. Non vuole i bla-bla-bla. E ci riesce, misurando equilibrio e grinta”.

Trovandoci  a pranzo da Rosy e Gabriele, appena riferii gli il pensiero di Indro, Vimercati  mi guardò serio: “Troppo buono, il Maestro, ma lui ben sa l’autonomia che ho nell’organizzare e nell’organizzarmi.  Vuoi che sia sincero come sempre? Se “Iceberg” ha un’audience così vasta, se ormai non c’è grande ospite che non si catapulti al volo a Milano, devo tutto all’assoluta autonomia che l’editore mi dà”.

Ho visto Sandro Parenzo, l’editore, scendere precipitosamente da un taxi ed entrare a Telelombardia dove, commosso sino alle lacrime, l’aspettava l’amministratore delegato Raffaele Besso. Ho fatto in tempo a stringergli la mano e a guardarlo negli occhi prima di vederlo sparire dietro la cancellata. Ebbene, mi scuserà Parenzo, se in quell’attimo non ha pensato a lui come al  produttore della Videa che ha inventato tanti fortunati programmi per Rai e Mediaset, o  come all’artefice di decine di palinsesti azzeccati, o come all’ideale promotore di Telesogno che nel 1995 indicarono Maurizio Costanzo e Michele Santoro.  Mi è parso semplicemente un uomo disperato nel sentirsi privo del suo Daniele Vimercati. E allora mi sono ricordato di quanta sintonia ci fosse tra i due, di quante idee macinassero insieme  e di come Vimercati avesse potuto davvero fare il direttore di una televisione libera, senza condizionamenti e diktat, con due soli padroni: il pubblico, i risultati.

Caro Daniele, tosto e incontrollabile come sei, non so in quale nuvola e con quali ospiti ti trovi già a preparare la prossima puntata di Iceberg. Essendo sempre stati entrambi di poche parole ed essendo nati cronisti, usi  a “scarpinare” e a non a baloccarci dietro una scrivania, non ho mai voluto rispondere a un tuo telegramma . Ricordi? Me lo inviasti quella mattina in cui le vicende della vita mi portarono a dare le dimissioni da direttore di un quotidiano. E poiché da sempre viviamo in un Paese in cui vige il vezzo di non dimettersi perché uno stipendio fa sempre comodo, mi dicesti: “Caro Enzo, complimenti per il coraggio e per lo stile. Tuo Daniele”.  Ebbene, appena ho saputo che te ne sei andato senza neppure poterci dire ciao, quel telegramma l’ho tolto dal cassetto e l’ho riposto nel portafogli. E non posso più non risponderti: “Caro Daniele, complimenti per come hai vissuto la tua storia professionale e per la lealtà con cui hai sempre inseguito a viso aperto i tuoi traguardi. Con Iceberg, non ho dubbi: sbaraglierai ancora tutti. Farai audience come quaggiù”.

(27 MARZO 2002, ORE 23:45)

tratto da IlNuovo.it

Aveva 44 anni. Bossi: ho perso un grande amico.
 Il cordoglio di Berlusconi


E’ morto Vimercati, «scoprì» la Lega

 ( m. nat. ) Ha declinato l’ironia con la polemica, ha coniugato l’intuito con il mestiere di giornalista. Per tutta una vita che è durata 44 anni. Ieri a Milano è morto Daniele Vimercati, stroncato da una leucemia. Cronista parlamentare per il Giornale di Montanelli, direttore dell’ Indipendente e del Borghese , Vimercati ora dirigeva i servizi giornalistici di Telelombardia. Il suo nome era nella rosa dei possibili direttori del Tg3 o delle Testate regionali Rai. Da Telelombardia conduceva Iceberg , la sua trasmissione in diretta arrivata alla quarta edizione. Ospiti gli uomini politici: di sinistra, di centro, di destra. Con i quali discuteva, scambiava opinioni, litigava. In maniera urbana e garbata, perché sapeva d’istinto quale era il limite. Quello della notizia. Cercata, provocata, inseguita, ma nel rispetto dei ruoli. Con quello stile ha indotto il ministro Gasparri a tirare fuori una «lista di proscrizione» della Rai con i nomi di Biagi, Luttazzi, Fabio Fazio e del Tg3; con una serie di domande incalzanti ha strappato a Bossi (il leader della Lega che proprio lui aveva «scoperto» nel ’91 con il libro I lombardi alla prima crociata ), un imbarazzante parere su Giuliano Amato.
Vimercati, che Aldo Grasso su Sette definì «più bravo di Vespa e Santoro», era un giornalista di destra. Dalle prime esperienze giornalistiche a Bergamo, arrivò alla cronaca di Milano del Giornale . I suoi servizi sul Pirellone e quei resoconti dettagliati e precisi sulla Lega gli fecero guadagnare la cronaca parlamentare romana. E anche il complimento più bello di Indro: «Sei un cavallo di razza». Sognava una destra liberale ed europeista. Ma era critico nei confronti di Berlusconi. Detestava le verbosità, i tecnicismi, la vecchia Dc e i «maneggioni». Rispettava la sinistra. Nel ’92, con Carlo Brambilla dell’ Unità , scrisse Gli annegati , un libro sul giallo della morte dei fratelli Bisaglia.
Nel dibattito politico, che registrava e suscitava anche con cinismo, coglieva lo spunto, lo ampliava e lo sfruttava. «Per dare un contributo», sibilava con un mezzo sorriso. Ma a che cosa o per che cosa non lo diceva. Lo lasciava intuire.
Ieri gli uomini politici - dal premier Berlusconi che ha inviato un telegramma alla famiglia, ai presidenti Pera e Casini, da Violante a Fini, da Buttiglione a Castelli, da Albertini a Formigoni e Di Pietro - hanno espresso pubblicamente dolore e commozione. Il ministro Bossi, a casa con la febbre, non ha telefonato alle agenzie. Con Vimercati aveva un rapporto privato. Come il dolore. Alla Padania ha detto: «Ho perso un grande amico».

 

tratto da Il Corriere della Sera 28-3-02

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