Europa: l’ultimo Leviatano

Di Carlo Stagnaro

Si è svolto, venerdì 8 e sabato 9 dicembre 2000 presso l’Hotel Duomo a Milano, il convegno “Europa: l’ultimo Leviatano”; sottotitolo: “Le ragioni dell’altra Europa”. Organizzato dalle riviste Enclave e Federalismo & Libertà e dal Cidas di Torino, l’incontro ha riscosso un notevole successo: sia in termini di affluenza da parte del pubblico, sia per il discreto risalto che ha ricevuto dalla stampa. Come hanno notato tutti i convenuti, si avvertiva, in Italia, l’assenza dell’altra campana, quella che si oppone alla nota stonata e dogmatica dell’europeismo di maniera.

 

Oggi, a sangue freddo, si può affermare senza remora che a Milano si è finalmente alzata la voce di quelli che non ci stanno. Quelli che osano mettere in dubbio il Verbo di Bruxelles e i suoi dogmi. Quelli, in buona sostanza, che temono l’ondata di statalismo selvaggio che è alla base del buonismo imperante. Particolarmente apprezzata è stata la presenza di esponenti di alcune formazioni antagoniste: dalla Life a Nuove Prospettive, dal Movimento per le Riforme ai fumatori di Forces. Tutte associazioni che, in modi e forme diverse, hanno dato la propria adesione alle tesi sostenute dai numerosi relatori che si sono avvicendati.

 

Ad aprire le danze, venerdì, è stato Mauro Marabini, che ha attirato l’attenzione sull’assenza di una reale alternativa al socialismo imperante. Un socialismo che è ugualmente condiviso tanto a destra quanto a sinistra, e ha la propria testa di ponte nella centralizzazione: a livello nazionale prima e sovranazionale poi. Marabini ha puntato il dito sul silenzio colpevole dei mezzi di comunicazione, e ha rivendicato il ruolo fondamentale di tutte le realtà autenticamente liberali che non temono di scontrarsi con il “pensiero egemone” pur di affermare, o ri-affermare, un ideale di libertà.

 

La prima relazione era dedicata a “l’insopportabile peso della moneta unica”. Enrico Colombatto ha spiegato che l’euro non funziona e non potrà funzionare perché il Vecchio Continente non è un’area ottimale. Esso, in altre parole, non ha le caratteristiche necessarie a garantire l’esistenza di una sola valuta. Ma il vero problema è un altro: che l’unificazione monetaria è solo il preludio di quella politica, un processo che i liberali devono avversare con ogni forza. Ha fatto presto, Arturo Diaconale, a cogliere la palla al balzo: questa Europa, si è domandato, è costruita dai socialisti; ma potrà mai esistere un’Europa dei liberali, per i liberali?

 

Lord Harris of High Cross ha invece esposto le ragioni dell’euroscetticismo. Ragioni che sono molteplici, e che si rifanno in larga misura all’espropriazione di sovranità da parte di Bruxelles. Se infatti, come è noto, gli Stati nazionali sono mastodonti avversi alla libertà individuale, l’erosione di poteri e competenze da parte del Leviatano europeo non potrà in alcun modo favorire i singoli nella loro ricerca della felicità, anzi, sarà solo foriera di ulteriori forme di oppressione. Vittorio Feltri ha invece invitato a guardare l’Unione Europea con gli occhi del cittadino comune e del buonsenso popolare. Le famigerate “direttive” sono null’altro che collezioni di stupidaggini, scritte da gente che per lo più non conosce le questioni su cui disinvoltamente legifera.

 

Romano Bracalini ha ricordato un grande europeo e grande lombardo, Carlo Cattaneo. Autentico federalista, appassionato difensore dei diritti delle comunità locali, Cattaneo oggi sarebbe senza dubbio sul fronte euroscettico: a favore della decentralizzazione e contro ogni forma di statalismo. Ralph Raico ha spiegato che la storia europea è una storia di libertà, in cui c’è sempre stato spazio per le differenze. L’uniformità e la normalizzazione non appartengono a quel patrimonio. Fondamentale, allora, è battersi per tre diritti: il diritto a portare armi, condizione irrinunciabile perché il cittadino possa difendersi dalle aggressioni; il diritto di secessione, vero grimaldello nelle mani delle piccole comunità contro i governi centrali; e la scuola libera, indispensabile perché i giovani possano essere educati alla libertà e non alla schiavitù e all’obbedienza al potere costituito.

 

La giornata si è chiusa con una tavola rotonda a proposito della Carta dei Diritti recentemente dibattuta in tutte le sedi, istituzionali e non. Gerard Bramoulle ha spiegato la differenza tra diritti positivi e negativi. Questi ultimi sono gli unici conciliabili con la teoria, tipicamente liberale e libertaria, del diritto naturale: ognuno di noi ha diritto a non essere disturbato nelle proprie legittime attività, e ha il dovere a sottostare alla medesima regola nei confronti degli altri. Al contrario, il diritto positivo è fonte di arbitrio e oppressione. Lord Harris ha difeso la categoria dei fumatori dalle ripetute aggressioni salutiste ai loro danni. Wendy McElroy ha spiegato come la Carta dei Diritti sia in verità molto simile al regolamento di una prigione. Robert Nef ha esposto le proprie ragioni dal proprio punto di vista di conservatore culturale: ognuno ha il diritto di scegliersi la propria morale, e il dovere di rispettarla. Impedirglielo è una forma di violenza. Jim Davidson, infine, ha premuto l’acceleratore sul diritto di secessione: la libertà individuale può essere conseguita solo attraverso la disgregazione dei governi centrali in numerose entità territoriali ridotte.

 

Sabato mattina, Daniel New (introdotto da Alberto Mingardi) ha affermato che è un dovere morale difendere la sovranità nazionale dalle aggressioni degli organismi sovranazionali. La presunta pace universale imposta dalle Nazioni Unite (e, sulla loro scia, dalla Nato, dal Wto, dalla stessa UE…) è solo una gigantesca e orwelliana forma di “guerra perpetua”, volta a sostituire tanti governi nazionali con un solo governo mondiale, virtualmente tirannico. Molto vicino alle sue posizioni si è trovato Robi Ronza. Partendo dalle fallimentari esperienze del Kosovo e dell’Iraq, il consigliere di Roberto Formigoni ha sottolineato come le organizzazioni sovranazionali siano spesso figlie di un’ideologia disumana, quella socialista. Pur non essendo ostile, almeno in astratto, a forme di cooperazione e di coordinamento, Ronza ha condannato a chiare lettere le attuali forme di gestione della politica internazionale.

 

Carlo Lottieri e Gerard Bramoulle si sono trovati d’accordo nel distinguere la globalizzazione economica dal globalismo giuridico. La prima è un fenomeno estremamente positivo: implica infatti un’estensione della possibilità di scegliere e, quindi, è una conquista di libertà per gli individui. La tendenza a creare un governo mondiale, al contrario, va avversata risolutamente, in quanto indice di centralizzazione, uniformità e, in pratica, soppressione delle differenze e delle stesse individualità. Il cosiddetto “mondialismo” è la manifestazione attuale di quell’ideologia costruttivista che ha generato le più oscene forme di ingegneria sociale sperimentate nel corso dell’ultimo, sanguinoso secolo.

 

Osvaldo de Paolini è tornato a parlare di tematiche legate a moneta e fisco: l’unificazione europea, infatti, postula la necessità di armonizzare i diversi sistemi nazionali. E lo chiamano federalismo. Proprio contro questa forma di armonizzazione fiscale, legislativa e sociale si è scagliato Pascal Salin. “Armonizzare” è un verbo tipicamente comunista: significa sopprimere, ingrigire, uccidere. L’armonizzazione non solo fa comodo all’instaurazione di un regime virtualmente tirannico, ma è anche nemica del benessere e della prosperità.

Hans-Hermann Hoppe ha esposto le proprie tesi sull’immigrazione. Per le medesime ragioni per cui un liberale non può non dirsi favorevole alla libera circolazione delle merci, egli deve anche opporsi alla libera circolazione delle persone. L’unico criterio da applicare è quello del rispetto dei diritti altrui e, in particolare, della proprietà privata. Se una persona viene invitata, ovvero è gradita, allora può muoversi dove e quando vuole; in caso contrario, l’utopia della libera circolazione rischia di legittimare un non meglio definito “diritto all’invasione”. Sergio Ricossa, pur avendo posizioni più sfumate sull’immigrazione, ha voluto affermare con forza che la tolleranza liberale non si può applicare agli intolleranti. Quei popoli che sono portatori di culture prevaricatrici e autenticamente razziste (poiché si ritengono antropologicamente o biologicamente superiori agli altri) non possono essere accettati. Essi non si integreranno mai perché non vogliono integrarsi.

 

Anthony de Jasay ha spiegato che, nella storia, ci sono due Europe: vi è quella liberale, aperta, favorevole al libero mercato; e quella socialista, chiusa, ostile all’individuo e ai suoi diritti. La prima Europa è quella che brilla come un faro di libertà, la seconda procede invece con passo pesante sul sentiero che porta a Bruxelles. Alberto Mingardi ha affermato che i libertari non devono avere paura delle proprie idee: qualunque cosa accada, essi non possono permettersi il lusso di “vergognarsi di aver ragione”. Non devono temere di pestare i piedi sbagliati: e, anzi, con questo convegno hanno senza ombra di dubbio pestato i piedi giusti.

Una prova ne sia la contestazione da parte dei “ragazzi” dei Centri Sociali (“gli ultimi relitti del ‘68”, li ha definiti Mingardi), che hanno dato un tocco di colore alla giornata. Cacofonici e patetici come sempre, essi hanno fornito agli ospiti stranieri, che non erano abituati a siffatti esempi di inciviltà, l’usuale dimostrazione di intolleranza. E sì che il convegno non si svolgeva in una pubblica piazza né comportava alcuna spesa per il contribuente – categoria a cui peraltro loro, ne siamo certi, non appartengono.

 

La convention si è conclusa con una tavola rotonda sulle prospettive politiche dell’euroscetticismo. Avrebbe dovuto esserci il governatore della Carinzia, Joerg Haider, che però già da due giorni aveva comunicato la propria assenza a causa di altri impegni. Chi invece non si è degnato di avvertire sono stati i politici: quasi nessuno dei quali si è presentato all’appuntamento concordato. La qual cosa ha contribuito a rafforzare nei libertari le loro convinzioni sulla reale natura dei membri di quella casta. Alla discussione hanno comunque preso parte Leonardo Facco, Alberto Mingardi, David Wilkinson e Sergio Scalpelli. Quest’ultimo ha dato prova di grande interesse e si è dimostrato un interlocutore credibile e affidabile, tanto sul piano politico quanto su quello istituzionale.

 

La vergogna che copre gli assenti è pari solo al merito che si è guadagnato chi non ha avuto paura di accettare la discussione, esponendo se stesso, la propria faccia e le proprie idee.

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