Speciale censura

Comunicato dell'editore

E' GRAVISSIMO!!! La commissione affari istituzionali censura la stampa libera! Sì, avete capito bene! La legge 62 del 2001 ha parificato la stampa su carta a quella in rete...quindi, occorre avere un direttore responsabile iscritto all'ordine dei giornalisti, il giornale deve essere registrato in tribunale e pagare le relative gabelle alla repubblichetta. Questo vale anche per la stampa estera leggibile in Italia, come nel nostro caso: "sadica...mente", infatti, si trova nel Libero Principato, il quale, tra l'altro, essendo una privatopia, e quindi per forza anarchica, non possiede alcun tipo di "ordine", tantomeno quello dei giornalisti.  Da oggi l'Italia è come la Cina comunista, internet non è più libera!!!! La legge italiana considera criminale chiunque diriga un giornale senza alcun tipo di registrazione o controllo: il reato è quello di stampa clandestina! Ebbene, noi siamo criminali!

Cyberindividuo SE.CEDO

"Governi del mondo industrializzato, voi decadenti giganti di cemento e di acciaio. Noi siamo il Cyberspace, la nuova casa della Mente. Nell'interesse del Futuro, noi vi chiediamo, Uomini del Passato, di lasciarci soli. Voi non siete benvenuti fra noi. Voi non avete alcuna sovranità dove noi ci incontriamo", tratto dalla Dichiarazione d'indipendenza del Cyberspace by J. Barlow

P.S. Le minuscole in relazione alle istituzioni italiane sono volute!


La libertà al palo 

di Carlo Stagnaro 

Internet è libera e per questo fa paura a molti. Suscita i timori dei pavidi, perché si aspettano di essere “sommersi” da una mole di informazioni il cui peso risulterebbe insopportabile. Fa prudere il fondoschiena ai giornalisti, che sentono dissolversi quel monopolio della comunicazione che hanno faticosamente edificato. Fa fischiare le orecchie ai politici, i quali guardano con orrore alle inconfessabili verità pronte a divenire dominio pubblico.

 

E’ questa la ragione per cui i parlamentari, su spinta degli scribacchini e col sostegno dei poco coraggiosi, hanno approvato una nuova legge sull’editoria, da pochi giorni entrata in vigore. Essa brilla per assurdità, e la sua stupidità è superata solo dalla lampante volontà censoria che traspare da ogni parola. Essa, in sostanza, prevede che solo i giornalisti iscritti all’albo possano fare informazione: distruggendo quel patrimonio di libertà che risiede nella rete.

 

La principale falla di tale norma risiede nell’errata comprensione di quello che anche un bambino sa essere vero: Internet è un fenomeno globale, e nessuna regolamentazione nazionale sarà in grado di imbrigliarla. Ciò nondimeno, le nuove disposizioni mettono in serio pericolo i siti italiani, che da un giorno all’altro si sono ritrovati in blocco fuorilegge (qualcuno faceva notare che neppure il sito della Camera dei Deputati rispetta le direttive, ma è lecito aspettarsi che nessuno interverrà).

 

In realtà, la legge sull’editoria è inapplicabile, e quindi resterà inapplicata. Come accade non di rado in Italia. Però, c’è un però. Essa mette il potere politico – e quello giudiziario – di condannare arbitrariamente qualunque sito “scomodo”. Formalmente, non vi saranno più aggressioni alle parole o alle idee espresse. Semplicemente, i soffioni boraciferi della verità avranno violato il comma tale articolo tal’altro. E nessuno potrà sostenere che siano stati puniti in virtù del loro essere critici nei confronti del governo o dei suoi fiancheggiatori.

 

E’ del tutto evidente che questa legge rappresenta una seria minaccia alla libertà di espressione. Tanto più grave è il fatto che sia stata approvata senza la sostanziale opposizione da parte di nessuno (una menzione d’onore meritano in questo caso i Radicali, la cui battaglia però è stata – ovviamente, e certo non per loro colpa – inefficace). Giustamente ha affermato Antonio Martino, già Ministro degli esteri e anima liberale di Forza Italia, che “sarebbe meno grave se si fosse trattato di un “colpo di mano” della maggioranza, realizzato malgrado una robusta e consapevole opposizione”. Così come apprezzabile è stata la posizione di Rifondazione Comunista, per una volta (forse per sbaglio) schierata a difesa della libertà.

 

La voce che però è mancata è quella dei navigatori: i veri interessati, coloro da cui ci si sarebbe aspettati una reazione ben più vigorosa. La petizione promossa da Punto Informatico (http://www.punto-informatico.it/petizione.asp) è una cosa sacrosanta, ma le decine di migliaia di adesioni sono troppo poche rispetto alle centinaia di migliaia, o milioni che siano, di potenziali interessati. 

 

E’ dunque dovere morale di ogni utente della rete rendersi apostolo e untore della libertà di espressione: prendendone le difese in ogni contesto e sostenendo qualunque iniziativa volta a preservarla.

 

per aderire alla petizione

 

da "Politicamente scorretto" - Aprile 2001

Martino: “Azzurro, ma in odore di eresia”
di Carlo Stagnaro

Dire “liberale” in Italia può significare due cose: o si ha l’intenzione di riferirsi a un’area politica e ideologica nebulosa e indistinta, un contenitore vuoto buono per tutto e tutti; oppure si indicano quei pochi, coraggiosi individui che col proprio pensiero e le proprie azioni hanno difeso la filosofia della libertà in un ambiente che definire ostile è fare un eufemismo. Uno di essi, e certamente non uno degli ultimi, è Antonio Martino: docente universitario, parlamentare di Forza Italia e già Ministro degli esteri nel 1994, Martino è senz’altro un punto di riferimento per tutti quanti si oppongono al dilagante statalismo. Abbiamo dunque ritenuto doveroso interpellarlo in merito alla nuova legge sull’editoria.

Come ha visto, il Parlamento, proprio pochi giorni prima dello scioglimento delle Camere, ha licenziato la nuova legge sull’editoria. Essa, in particolare, prevede una serie di interventi sull’informazione in rete, non ultimo l’obbligo per i siti “periodici” di registrarsi e di nominare un direttore responsabile iscritto all’Albo dei Giornalisti. Cosa ne pensa?

Si tratta di un “classico” esempio di dirigismo al servizio degli interessi corporativi dei giornalisti. In questo, come in innumerevoli altri casi, il contrasto fra l’interesse concentrato, consapevole ed organizzato di pochi prevale sull’interesse generale, non organizzato (organizzabile), diffuso e scarsamente consapevole, di tutti.

La legge è stata votata con il sostanziale accordo di destra e sinistra. E ‘ esagerato, a Suo parere, affermare che si tratta di un’aggressione della politica contro la libertà di informazione che internet consente?

E’ certamente un’aggressione politica alla libertà di tutti, tanto più pericolosa in quanto non contrastata (sarebbe meno grave se si fosse trattato di un “colpo di mano” della maggioranza, realizzato malgrado una robusta e consapevole opposizione). Ma l’aspetto più preoccupante è che si crea un precedente per distruggere quel formidabile universo di libertà che si è dischiuso grazie ad Internet. Inutile aggiungere che questa straordinaria area di anarchia funzionante ha da sempre suscitato la rabbia degli statalisti e la loro smania di regolamentarla.

Onorevole Martino, Lei è un autorevole esponente di Forza Italia, partito il cui leader, Silvio Berlusconi, sarà, secondo i sondaggi, il prossimo Presidente del Consiglio. Questo dà alla sua voce un peso certo non secondario. Alla luce di ciò, se la sente di impegnarsi, di fronte ai navigatori e ai lettori di Punto Informatico, a combattere questa legge non appena metterà piede in Parlamento dopo le elezioni?

Farò quanto posso ed attendo i vostri suggerimenti, le vostre sollecitazioni ed il vostro incoraggiamento, ma non illudetevi: il mio personale “peso” all’interno della coalizione è minimo. Sono in odore di eresia e non ho molte speranze di essere ascoltato.

Carlo Stagnaro

da "l'Opinione"

Il popolo web si ribella al governo


DI ALBERTO MINGARDI

16.885 persone: immaginatevele. Già scrivere il numero in parola, anziché in cifre, rende meglio l’idea: sedicimila ottocento ottantacinque persone. Basterebbero per riempire una piazza, qualche decina di pullman della CGIL in rotta verso la prossima trasmissione di Santoro, il “portafoglio” elettorale di una ventina di “cespugli” del Polo e dell’Ulivo.
E il numero - da quando scrivo al momento in cui leggete - sarà senz’altro lievitato ancora, saremo attorno alle ventimila firme se non di più. Ventimila firme raccolte dalla rivista telematica “Punto Informatico”(www.punto-informatico.it) per impedire che il governo italiano metta la museruola ad Internet.
Ovviamente, stampa e tv (ivi inclusi quei tiggì “per i giovani” che in realtà fanno giusto del moralismo spiccio su droghe e dintorni) hanno scelto di non dare voce a questa campagna contro la censura. Pazienza, ci proviamo noi.
L’Internet che parla italiano è a rischio censura perché, con la legge n.62 del 7 marzo 2001 (che va a modificare la n.416 del 5 agosto 1981), è stato reintrodotto nella legislazione italiana il reato penale e civile di “stampa clandestina”. Va da sé, con l’assenso consapevole dei fascisti di destra e di sinistra che il 13 maggio si disputeranno la guida del Paese.
Tutto questo è avvenuto quando la Commissione Affari Costituzionali del Senato, in sede deliberante, ha voluto approvare la legge in questione. Che prevede che anche i periodici Internet abbiano bisogno di un direttore “responsabile”, cioé un giornalista patentato, regolarmente iscritto alla corporazione - la Federazione Nazionale della Stampa Italiana ha festeggiato alla grande.
Se deve esistere un direttore “responsabile”, significa che la testata va “registrata”, certificando che il direttore c’è e lavora.
Sapete qual è l’unico Paese al mondo dove vigono norme simili per Internet, dove bisogna “registrare” i siti? Tombola, la Cina comunista. Perché altrove nessuno si azzarda a toccare il World Wide Web, dove i siti spuntano come funghi ma soprattutto dove è impossibile tracciare confini nazionali, o frontiere. L’Internet “italiano” non esiste: esiste un certo numero di siti scritti in italiano, e dunque verosimilmente destinati a un’utenza che lo sa leggere.
Il dramma è che una volta si diceva, un po’ sommariamente, che la destra sarebbe a favore della libertà in economia e la sinistra dovrebbe invece difendere i diritti civili. Nel nostro Paese, a quanto pare, non esistono né l’una né l’altra: perché la libertà di Internet, il diritto di aprire un sito senza doverlo “registrare”, fa parte ovviamente del grappolo delle libertà di mercato. Visto che queste libertà sono già calpestate dalle norme che costringono i commercianti a strisciare e sputare sangue per ottenere una “licenza”, non è che i partiti di centro-destra, una volta realizzato che su Internet il problema non esiste, hanno pensato di adeguare alle condizioni del Web anche il mondo “reale” e “fisico”. Nossignore: questi liberisti alle vongole, i pretesi difensori del mercato libero, hanno votato affinché anche Internet potesse diventare un mercato controllato dallo Stato.
Ma la stessa libertà, il poter aprire un sito dove dire la propria, è un diritto civile. Internet è come il mitico Hide Park: ci entri, salti su una panchina, cominci a parlare. Poi chi ha voglia e tempo sta a sentirti, gli altri ti abbondonano ai tuoi deliri. Si chiama free speech, libertà d’espressione: e pare che la sinistra in tutto il mondo ci tenga a difenderla. Pare, dico, perché il governo Amato è stato (l’avevamo già scritto) il più convinto assertore della necessità di costringere Internet in una bella cintura di castità.
Oltre al danno la beffa, insomma. Dopo aver scoperto che siamo un Paese in libertà vigilata, ci tocca fare i conti con un’altra verità. Da noi non esiste né la destra né la sinistra: esistono soltanto i politici, con la loro spasmodica ambizione di regolamentare, vigilare, controllare, “normare” (ributtante neologismo).
Senza mai curarsi di come le cose stanno in realtà: fino a una settimana fa, Vittorio Feltri era ufficialmente “fuori” dall’ordine dei giornalisti, le ragioni della scomunica le conoscete tutti. Ebbene, non credo ci sia un lettore uno che, in ragione del fatto che Feltri non era più ufficialmente membro della corporazione, abbia dubitato delle sue capacità. Che abbia pensato che la sua penna era spuntata. Oppure abbia temuto che avrebbe smarrito il suo buon senso.
Perché? Perché l’autorevolezza che viene riconosciuta a questo o a quello (nella fattispecie, al nostro direttore) non c’entra nulla con tessere e tesserine. Se così fosse, gli unici quotidiani letti sarebbero quelli di partito, perché sono pieni zeppi di tesserati.
Visto che noi tutti siamo un po’ meno cretini di quel che pensa il governo, ci facciamo delle opinioni di chi scrive e di ciò che esprime. Che sia “giornalista professionista” o meno, interessa poco.
Quando invitiamo a casa qualcuno, e si parla di politica, o di sport, o si spettegola, diamo la parola soltanto ai “giornalisti”? Credo di no, perché tutti hanno il diritto sacrosanto di dire la loro, e quell’altro diritto, sacrosanto, di non essere d’accordo gli uni con gli altri.
La cosa sembra la sancisca pure la nostra Costituzione, articolo ventuno: “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.
Mi sa che bisogna rivedere il bilancio del governo Amato: dopotutto, pare che almeno la Costituzione siano riusciti a cambiarla. 

(tratto da "Libero")

UNA RISATA A TUVALU SEPPELLIRA' UNA LEGGE ITALIANA?

Nei mesi passati in Internet e' girato un "appello per la liberta' di
espressione, di comunicazione e di informazione in rete" promosso da
Peacelink con un settore ad hoc sul proprio sito
http://www.peacelink.it/censura/index.html con lo slogan "L'informazione
on-line ha i giorni contati".
L'appello, al quale avevamo aderito a suo tempo, paventava modifiche alla
legge sulla stampa che prevedeva l'estensione dell'obbligo del direttore
responsabile iscritto all'ordine dei giornalisti alle testate telematiche.
In breve la follia delle leggi sulla stampa con tutte le sue rigidita'
(anticostituzionali e contro la liberta' di espressione) venivano
trasportate anche alla realta' di Internet.
Ricordiamo infatti che l'art.21 della Costituzione italiana recita "Tutti
hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola,
lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non puo' essere
soggetta ad autorizzazioni o censure". In realta' questo articolo e' stato
travisato e tradito dalle leggi applicative laddove si prescrive che il
direttore di una testata debba essere iscritto all'ordine dei giornalisti,
limitando cosi' il principio stesso della liberta' di espressione.
La legge sulla stampa non e' riuscita a terminare il suo iter per lo
scioglimento delle Camere. A prima vista sembrerebbe che almeno per questa
legislatura le riviste on line l'abbiano scampata. In realta' cosi' non e'
andata, perche' fra le maglie di un'altra legge, quella sull'editoria, la
clausola di uniformare Internet alla realta' cartacea e radiotelevisiva e'
diventata legge.
Questa legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 21 marzo 2001 "Nuove
norme sull'editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5
agosto 1981, n.416", nelle disposizioni generali definisce e disciplina il
prodotto editoriale cosi':
"1. Per "prodotto editoriale", ai fini della presente legge, si intende il
prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su
supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla
diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche
elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con
esclusione dei prodotti discografici o cinematografici."
"3. Al prodotto editoriale si applicano le disposizioni di cui all'articolo
2 della legge 8 febbraio 1948, n.47. Il prodotto editoriale diffuso al
pubblico con periodicita' regolare e contraddistinto da una testata,
costituente elemento identificativo del prodotto, e' sottoposto, altresi',
agli obblighi previsti dall'articolo 5 della medesima legge n.47 del 1948."
Cosa succedera' ora? Chiunque in Internet "diffondera' informazioni", dovra'
avere un direttore responsabile iscritto all'ordine dei giornalisti. L'unico
modo per evitarlo sara' quello di non avere una testata che contraddistingue
queste pubblicazioni e che la diffusione non sia regolare, insomma, che non
sia un "giornale telematico".
Quello che e' successo non e' altro che la conferma di leggi inutili e
dannose trasportate nella realta' di Internet.
L'ordine dei giornalisti, corporazione utile solo ai propri aderenti,
dannosa per il mercato e inutile per i lettori, ha esteso cosi' il suo
potere anche sul World Wide Web.
Quali saranno gli effetti di queste modifiche?
Sarcasticamente potremmo dire che finalmente Internet sara' un po' meno
anarchica, le notizie che vi troveremo saranno vagliate da sapienti penne di
"iscritti all'ordine", e che i lettori saranno cosi' piu' tutelati di quanto
non lo siano oggi. Troveremo meno aspiranti scrittori e giornalisti in giro
per la rete, che si esercitano a scrivere articoli opinioni e commenti in
html a meno che non trovino qualche iscritto all'ordine, come prestanome,
per avere una testata giornalistica.
Qualche problemino ci permettiamo di immaginare sorgera' per l'applicazione
della legge.
Fino a qualche anno fa il reato di stampa clandestina (ovvero quella che non
rispettava la legge del 1948) era addirittura penale, in parole povere si
rischiava fino a due anni di carcere, depenalizzato nel 1999
(http://www.aduc.it/SOS/help13.html) ad amministrativo, oggi si rischiano
"solo" multe pecuniarie.
Ma, ammettiamo pure che la polizia informatica italiana riesca a beccare
tutti i siti che illegalmente distribuiscono informazione, come la mettiamo
con quelli stranieri? Se prendiamo un dominio di un paese senza ordine (dei
giornalisti) come possiamo fare a far rispettare la legge italiana?
Siccome anche le cose piu' serie hanno sempre un loro aspetto comico, il
suffisso piu' quotato a cui aspirano le compagnie televisive per mettersi in
Internet e' il .tv, il suffisso che la Naming Authority ha affidato
all'arcipelago di Tuvalu: diecimila abitanti su nove isole sperdute nel
Pacifico, a meta' strada fra Hawaii e Australia, a rischio di inabissamento.
Non osiamo chiederci come faranno a sequestrare quell'informazione
clandestina.
Grazie ad Internet una risata tuvalana riuscira' a seppellire una legge
cosi' stupida?

Donatella Poretti

(tratto da "Aduc")

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