Niente riforme in democrazia

di Leonardo Facco

 



«Dimenticate che la democrazia sia in grado di riformare sé stessa». Parola di Hans Hermann Hoppe, che martedì pomeriggio, in un convegno tenutosi al Circolo della Stampa, ha spiegato i guasti dei sistemi democratici e, peggio ancora, statalisti.
Introdotto da Massimiliano Finazzer Flory e da Luigi Marco Bassani, Hoppe ha diviso il suo ragionamento in tre parti. Innanzitutto, ha recuperato le idee che la Scuola austriaca dell’economia, da Mises ad Hayek, ci ha tramandato. Poi, ha messo sul banco degli imputati la democrazia americana, ovvero quella che molta gente vorrebbe adottare come esempio mondiale di governo. Infine, ha spiegato quali rimedi e quale strategia perseguire per mettere fine a cotanta illiberalità.
Partiamo proprio dal secondo punto, ovvero dal fatto che gli americani stessi sono convinti che il loro sistema politico sia quello migliore, quello che più di ogni altro limita l’azione dei governi. Nulla di più falso. Su questo punto il professor Hoppe è stato implacabile: «Gli Stati Uniti, che bene hanno fatto a secedere dalla Corona inglese, in questi due secoli di vita hanno, però, agito non certo per limitare il proprio governo nel rispetto delle libertà individuali, anzi. All’inizio del secolo, ad esempio, il governo federale incassava poco meno del 10% di imposte dai cittadini; oggi, ne rapina il 43%, lasciando ai singoli Stati le briciole. Ancora: gli Usa, che sono nati con l’idea jeffersoniana di difendere sé stessi dagli attacchi esterni, si sono invece trasformati in un Superstato imperialista, che ha suoi uomini in divisa sparsi in otre 100 paesi del mondo. Sul versante monetario, poi, il valore di un dollaro di oggi è lo stesso di quello che aveva un centesimo sessant’anni fa». Bel guadagno! Dunque? «Ebbene - spiega Hoppe - questi sono gli effetti perversi della democrazia, di chi si fa Stato e burocrate spiegando alla gente che l’intenzione loro è quella di pensare al bene comune. Un fallimento. In buona fede, ma pur sempre un fallimento». Del resto, stando a quanto detto dall’economista tedesco allievo di Rothbard, perchè mai le istituzioni democratiche, che non sono altro che appendici dello Stato, dovrebbero limitare il loro potere per difendere e preservare quello dei cittadini?
Vero. Ma ciò significa, quindi, che non ci sono speranze?
Niente affatto. Per Hoppe, la strategia esiste ed è praticabilissima. È necessario, in primis, che gli individui comincino a pensare ad autodifendersi. E per farlo è sufficiente che chiedano allo Stato di stare alla larga dal fornire quei servizi che darebbero più garanzie se gestiti dai privati. Dalla sanità alla scuola, dalla sicurezza alle pensioni ci si deve affidare ad agenzie in competizione fra di loro sul mercato.
Cosa fare allora?
Semplice. Si può cominciare col garantire il diritto di secessione, in modo da dar vita a più comunità territoriali che, a loro volta, siano fra di esse in concorrenza. Inoltre, e questa è una logica conseguenza di quanto si diceva poco sopra, va avviato un sano processo di privatizzazione. Mica male.
«Basta coi monopoli - ha concluso Hoppe - e con le legislazioni opprimenti e illiberali. In futuro i rapporti tra gli individui dovranno essere regolati da contratti, 
firmati su base volontaria e con regole certe, che mai i politicanti potranno cambiare secondo le loro convenienze con una stupida legge».
Utopia? Non proprio. Basterebbe un può di buon senso.

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