Prigioni SPA - Multinazionali delle sbarre

di Alberto Mingardi

Gioiellieri freddati, famiglie trucidate, sparatorie al bar, sfide all'ok corral nella metropolitana. E ancora, "sessantatre milanesi su cento hanno paura", Crime day, Security day, ronde per controllare la situazione, controlli per le ronde, controlli per i controllori: le pagine dei giornali forniscono quotidianamente un vasto campionario di efferatezze compiute dalla criminalità, e di proposte a difesa dei cittadini lanciate da questo o quel partito politico.
"Dopo due settimane sono gia fuori", "non c'e giustizia per la gente comune": chi non ha mai sentito frasi del genere?
Il problema grosso, infatti, e che molti criminali sono recidivi. Chi un anno fa rubava autoradio, dopo un periodo di soggiorno pagato a San Vittore, torna in circolazione e va a caccia di automobili.
Quale la possibile soluzione di questo problema? Perchè (ed e evidente) le nostre carceri non funzionano? Il dibattito e all'ordine del giorno. Come spesso accade, qualche utile insegnamento potrebbe venirci da Oltreoceano.
Negli Stati Uniti, infatti, la lotta alla criminalità sembra a un punto di svolta. Non solo a New York, dove il sindaco-sceriffo Rudy Giuliani ha ripulito la città. Ma anche altrove, in tante piccole realtà: spuntano come funghi soluzioni originali ai problemi della sicurezza. Ad esempio a quello delle prigioni. Le carceri sono da sempre nell'occhio del ciclone.
Tradizionalmente, per certa "destra" si tratta di una specie di luogo di villeggiatura per malviventi, per la "sinistra" di un tetro strumento di tortura al servizio del Potere, quello con la "p" maiuscola. Gli anglosassoni sono pragmatici. A loro queste questioni non interessano. Basta che le prigioni funzionino, e poi tutto va bene. Gia, ma come farle funzionare?
Vendendole. Tombola.
Quella di "lasciar fare" ai privati sembrerebbe, a un occhio poco attento, una mania di fine millennio. Privatizziamo questo, liberalizziamo quell'altro... "Deregulation, deregulation, deregulation", ripeteva come un disco rotto Ronald Reagan a chi gli domandava quale fosse la sua ricetta per l'economia del Paese. Il bello e che ha funzionato, e funziona.
E come l'economia americana negli anni del "reaganismo" e ripartita in quarta, cosi ora le prigioni private stanno vivendo un periodo di grande espansione. I cittadini dormono sonni più tranquilli. E tutta una serie di impiegati e imprenditori ci guadagna. In queste strutture, lavora ormai la maggioranza dei "secondini". Come sconfiggere in un colpo solo crimine e disoccupazione.
Quella delle carceri privati e un'industria multimiliardaria. Ha le sue fiere e i suoi convegni, pagine su Internet, cataloghi postali, ricerche di marketing, e broker, i quali, su richiesta dei vari "stati" americani, si impegnano a ricercare per i detenuti i posti adatti al prezzo più convenienti per lo stato e, dunque, i cittadini che pagano le tasse. Questi "istituti di correzione", costruiti e gestiti da società private, ricevono dallo stato una retta per ogni detenuto ospitato. La storia dimostra che i monopoli pubblici, come le nostre prigioni, sono generalmente inefficienti e fonte di sprechi. Gli italiani ne sanno qualcosa. Meglio allora, tramite il settore privato, cercare di fornire un servizio migliore a un costo più contenuto. E il successo delle carceri private da questo punto di vista e stato indiscutibile: i costi per detenuto non solo sono risultati inferiori, ma le condizioni dei detenuti sono molto migliorate rispetto a quelle delle vecchie e sovraffollate prigioni statali americane, in cui la vita era pericolosa e degradante.
A dimostrarlo, una raffica di cifre riportate dal prestigioso "Reason Public Policy Institute": nel solo 1991, utilizzando carceri private anzichè pubbliche, lo stato del Texas ha risparmiato un buon 14% di quanto spendeva abitualmente. Nel '95, il 21%. E ancora più eclatante e il caso dell'Australia, che ha "salvato" dalle sue stesse grinfie il 30% delle tasse pagate dai contribuenti per questo settore. No comment. Le prigioni private sono (non tutte, va da se...) nuove di zecca, meno sovraffollate e hanno anche minori probabilità di ospitare detenuti violenti. Anche i "garantisti" hanno di che essere contenti. Una ragione c'e: seppure non ci siano, a questo proposito, rigidi "dettami" da parte dello stato (quegli stessi dettami che il più delle volte restano lettera morta), gran parte delle imprese cercano di loro spontanea volontà l'imprimatur della ACA (American Correctional Association). Il premio e un apposito "accredito" (che possono vantare il 92 % delle prigioni), che garantisce la qualità del servizio offerto. Prigioni a cinque stelle, insomma.
Attualmente, negli USA, le carceri private sono presenti in 27 stati, e ospitano circa 100 mila detenuti di tutti i livelli di sicurezza. In Australia, sono ancora più diffuse che in America, tanto che il 20 percento di tutti i detenuti sono reclusi in prigioni costruite, gestite e possedute dalle multinazionali delle sbarre: nello stato di Vittoria questa percentuale supera il 45 percento. Anche in Inghilterra negli ultimi dieci anni sono sorti sei carceri privati, gli ultimi due inaugurati recentemente vicino a Liverpool e nel Galles del Sud. Un'ultima curiosità: le strutture carcerarie private vengano costruite in meta del tempo di quello necessario per edificare quelle pubbliche, con costi pari al 60% di quelle statali. Non solo: il funzionamento quotidiano di tali strutture consente un risparmio pari al 15% dei costi. Ma anche questo, ormai, non ci stupisce più.

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