Quei nani che sfottono Bossi

Al lupo al lupo, non c'è slogan migliore per la campagna elettorale dell’Ulivo (o come si chiama oggi). Stanchi di puntare soltanto sulla flora, tra trifogli e margherite, i nostri amici di Sinistra passano le loro giornate studiando approfonditamente la fauna più variegata. Dallo Yeti al mostro di Lochness, ogni etichetta è buona per appiccicarla addosso al nemico “fascista”.

Più che una consultazione popolare, sarà una guerra biologica: i politici, d’altronde, sono tutti brutte bestie.

Però qualcuno è più brutto degli altri, così almeno pare; e se ce n’è uno che è bruttissimo, quello è sicuramente Umberto Bossi. E’ una questione di estetica, ma non solo: che Bossi non piaccia si può capire, ha il savoir-faire di un uomo di Neanderthal e l’eleganza di un Australopiteco, l’eloquio forbito di un camallo genovese e la granitica coerenza di un novello Badoglio. Bossi non è Brad Pitt (e passi), ma nemmeno Winston Churchill. Ne ha fatte di cotte e crude, fra ribaltoni e ribaltini. E se non ha mai tradito se stesso, ha fatto dei nordisti un popolo di cornuti.

Pazienza: ora che l’Umberto ha abbandonato la secessione come ideale e come obiettivo (con buona pace del sottoscritto e di tutti quelli che ci avevano creduto), ma soprattutto che ha cementato una nuova alleanza con l’ex-nemico Berluskaiser, la politica nazionale è costretta a fare i conti con lui e con la Lega. Non va più bene la strategia di una volta: dargli addosso e poi copiarne sotto sotto le parole d’ordine, prima fra tutte federalismo. No, bisogna rendersi conto che nella prossima legislatura la Lega sarà un po’ meno di lotta e un po’ più di governo.

Sarà per questo che la Sinistra se la prende con quella che una volta era la sua costoletta preferita. E con il Senatùr, figliol prodigo rinnegato in fretta e furia.

Non ci stupisce che Bossi sia stato oggetto di frizzi e di lazzi durante l’“Ottavo nano” di Guzzanti: diciamo la verità, la figura si presta. Battutine e battutacce su di lui circolano da una vita, e dai giorni dei “trecentomila bergamaschi armati” è sempre stato facile prenderlo per i fondelli. Tanto semplice che non fa nemmeno più ridere.

Quello che invece strappa un sorriso è l¹operazione internettiana di Rutelli: sul suo sito web, http://www.rutelli2001.it/, anziché esserci in bella vista il programma del candidato (ci sono, per ora, solo alcune “proposte per la sicurezza”), si spara a caratteri cubitali il titolo “L’Italia e il mondo secondo la Lega”. Non è una nuova versione dell’Atlante del Touring: si tratta di un articolo, riportato dal quotidiano “La Padania” (house-organ del partito bossiano), in cui l’incauto giornalista arriva a parlare di “diritto a discriminare”.

Il pezzo è datato 21 luglio 1999, vecchiotto quindi: ma la cosa divertente è che le stesse frasi riportate dal sito di Rutelli, erano state riprese da “L’Unità” il 27 Marzo 2000 (corsivo a firma Stefano Di Michele). Proprio un mese prima della debaclé diessina nelle elezioni regionali. Che dice l’articolo incriminato? Chiariamo una cosa: ci aspetteremmo fosse firmato da Bossi stesso, da Borghezio, da Pagliarini, insomma da uno degli uomini-immagine del movimento. Nient’affatto: è opera di Carlo Stagnaro, editorialista vicino al partito di via Bellerio, ma senza alcuna carica partitica. La sua insomma non è precisamente la voce della Lega, né tantomeno quella della coalizione. La quale si guarda bene dal parlare di un “diritto a discriminare”.

Purtroppo: infatti, quello che il sito rutelliano oggi (e il defunto quotidiano del Pci prima) spacciano per un manifesto razzista, non è nient’altro che un catalogo di proposte di buon senso. Stagnaro scriveva infatti che “siamo costretti a discriminare alcuni nostri simili a favore delle donne, dei musulmani, dei meridionali, degli handicappati, dei drogati e così via. Nei fatti questi ultimi hanno più diritti di noi, godono di una reale, sebbene parziale, impunità legislativa e hanno maggiori possibilità di far valere i propri diritti, veri o falsi che siano”. Che scandalo, eh?

Peccato che sia tristemente vero: ogni parola, sillaba, lettera, virgola e punto. La vulgata del politicamente corretto ha imposto apposite “quote” nei vari concorsi pubblici, favorendo spesso e volentieri l’armata brancaleone degli emarginati di ieri, privilegiati di oggi. Mentre, viceversa, non è possibile inserire in un bando un mezzo capoverso, una frasetta che a parità di punti assegni il posto (ad esempio) ad un maestro locale. A un impiegato che risiede al Nord da dieci anni. A un aspirante spazzino che fa la fame e vive a cinquanta metri dal comune, non a trecento chilometri.

Così come è semplicemente buon senso scrivere, come fatto da Stagnaro, che “è un sacrosanto diritto di ogni individuo, insomma, quello di “discriminare” (cioè preferire) qualcuno a qualcun altro in base a criteri personali”. Di più: discriminare è vivere. Noi discriminiamo ogni giorno, scegliamo di comprare “Libero” piuttosto che un altro quotidiano (bravi), di mangiare pesce e non carne, di andare a cena con la signorina X piuttosto che con il signor Y.

E’ razzismo tutto questo? Se lo è comprare uno yogurt alla fragola anziché uno al cioccolato. Proprio qui casca l’asinello: i rutellomani sono andati a ritagliarsi un articolo non di un bossiano convinto, ma di uno degli animatori della corrente “libertaria” all’interno della Lega Nord. Corrente oggi morta e defunta, ma che era proprio - avete letto bene – “libertaria”, liberale e liberista. Eccoli qui, le bestie nere di Rutelli: liberali, liberisti, libertari. Forse Bossi, quanto a coerenza, ha trovato un degno rivale.

Alberto Mingardi

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