"La secessione come facoltà prepolitica e diritto naturale"

Da anni, ad intervalli più o meno regolari, il problema della secessione torna alla ribalta. In questo ultimo periodo la questione ha spesso occupato le prime pagine dei mass-media, soprattutto da quando è stato costituito il Parlamento del Nord. Se nello Stato Italiano i temi del dibattito raramente si elevano dal livello di strepiti, insulti e minacce, così non è in altre parti del mondo; un esempio certamente significativo è venuto dal Quèbec, dove il 30 ottobre scorso si è svolta una consultazione referendaria sulla indipendenza.
In questa sede ci interessa affrontare da un punto di vista giuridico il tema del "diritto di secessione".
Secondo il Prof. Gianfranco Miglio, "il 'diritto di secedere' e il 'diritto di resistenza' sono le due essenziali facoltà prepolitiche su cui si fondano tutti i sistemi istituzionali. In quanto tali, anche se non si trovano menzionati nella maggior parte delle Costituzioni, rappresentano il punto da cui partono e il punto a cui ritornano le aggregazioni politiche di ogni tempo e di ogni luogo. Queste due regole si trovano infatti a monte di ogni processo costituente, ed è per la loro efficacia che si crea, o si dissolve, una sintesi politica".
Le parole del prof. Miglio delineano il diritto di secessione da un punto di vista metacostituzionale. Tuttavia, nel momento in cui ci apprestiamo a definire giuridicamente questo diritto, dobbiamo fare i conti con la realtà degli ordinamenti.
Abbiamo due ipotesi: a) la Costituzione non riconosce il diritto di secedere -quando addirittura non lo bandisca espressamente, come la legge fondamentale italiana, all'art.5 "La Repubblica Italiana è una e indivisibile"-; b) la Costituzione riconosce legalmente il diritto di secedere.
Come abbiamo visto, la stragrande maggioranza delle Costituzioni è riconducibile alla prima ipotesi. In questa tipologia di Stati la Costituzione è vista come carta suprema e insuperabile (almeno nelle sue direttrici fondamentali, fra le quali va ascritta l'unità del territorio). Essa si pone dunque come una sorta di motore immobile giuridico, dal quale traggono vita tutto l'ordinamento e, conseguentemente, lo Stato inteso come aggregazione sociale, politica ed economica dei cittadini.
Quando una comunità, facente parte di un siffatto assetto statuale, chiede la secessione, si viene a creare un conflitto giuridico particolare: da un lato si ha una Costituzione che non riconosce e implicitamente bandisce il diritto di secedere, dall'altro si ha la legittima scelta di un gruppo di cittadini, ovvero il "diritto naturale alla secessione, che in quanto tale viene molto prima di qualsiasi Costituzione" (G. Miglio, Corriere della Sera, 27.7.95). In una situazione costituzionale di questo tipo, l'atto che porterà alla separazione territoriale si configurerà come fatto giuridico extralegale e politicamente sovvertitore dell'ordine costituito. Se proviamo a immaginare una Padania che lascia lo Stato Italiano, è difficile credere che ciò possa avvenire in forza di una semplice modifica costituzionale. Certo non si tratta necessariamente di giungere allo scontro militare, ma è chiaro che la strada separatista non potrebbe che fondarsi sulla autoproclamazione di un Parlamento padano con funzione costituente. Un organo di tale genere potrebbe essere il punto d'arrivo di strade molto differenti. In un primo caso le regioni settentrionali potrebbero unirsi attraverso la facoltà concessa dall'art.132 della Costituzione e quindi autoassegnarsi un compito costituente (questo secondo momento rappresenterebbe l'atto giuridico extralegale). In un secondo caso i rappresentanti politici padani potrebbero direttamente costituire una Assemblea costituente cisalpina che porterebbe all'autoproclamazione di una repubblica indipendente e sovrana.
In ogni caso, nell'ambito delle Costituzioni che non riconoscono il diritto di secessione, questo atto non può trovare fondamento giuridico nell'ordinamento statuale da cui il gruppo separatista intende affrancarsi. La secessione acquista dunque una valenza rivoluzionaria, fondata su due fattori: il diritto naturale a stare con chi si vuole e la umana tensione a modificare la propria condizione.
Nell'affrontare il secondo tipo di Costituzioni, quello cioè in cui la separazione di una comunità è legalmente riconosciuta, dobbiamo fare un breve accenno alla corrente di pensiero neofederalista (fra i cui massimi teorici ascriviamo Gianfranco Miglio e lo statunitense Daniel Elazar).
I teorici del nuovo federalismo fondano i propri modelli di aggregazione statuale sulla diversità. In passato la federazione era vista come passaggio per raggiungere la completa unità, non come assetto costituzionale utile a garantire le differenze e il diritto di ciascuno di mantenere la propria individualità. E' in quest'ottica che i neofederalisti affrontano lo studio dei modelli federali. Essi fondano queste costruzioni teoriche su un principio fondamentale: il contratto, come negozio giuridico bilaterale e paritario, soggetto a negoziazione e a risoluzione. Lo Stato non è più ente supremo e indissolubile, ma patto fra libere comunità, quindi fra liberi uomini. In una Costituzione basata sul principio contrattualistico non può che essere accettato e tutelato il diritto di secedere. Viceversa una Costituzione che riconosce tale diritto non può che essere fondata sul contratto. Da ultimo un assetto statuale così definito è ovviamente una federazione. "Una Costituzione che escluda (in modo esplicito o implicito) il diritto di secessione, non è m a i una Costituzione federale" (G. Miglio, prefazione al volume di G. Morra "Breve storia del pensiero federale).
A conclusione del nostro excursus diamo quindi una definizione più completa del diritto di secessione. Esso costituisce un diritto naturale e una facoltà prepolitica. Negli ordinamenti fondati sul potere assoluto dello Stato esso non gode di un riconoscimento e di una tutela giuridica, e in quanto tale si configura, in relazione alla Costituzione vigente, come fatto extralegale e rivoluzionario. Al contrario, negli ordinamenti federali di stampo contrattualistico, il diritto di secessione è riconosciuto e si pone come atto legale riconducibile alla sfera dell'autonomia dei singoli gruppi politici che compongono l'unione.

(articolo pubblicato su Quaderni Padani n°3, anno II, gennaio-febbraio 1996)

Alessandro Storti

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