Secessione e globalizzazione:
davvero  nemiche?

L'abbattimento dei confini non porterà a una omologazione culturale e istituzionale ma alla fine dei vecchi Stati-Nazione  

   Il Parlamento Mondiale è cominciato con il primo attimo del mondo e continuerà quando saremo polvere. Non c'è luogo in cui non si trovi. Il Parlamento è i Caledoni che sconfissero le legioni dei Cesari. Il Parlamento è Giobbe nel letamaio e Cristo sulla Croce»: così Alejandro Glencoe conclude e riapre nello stesso tempo l'esperienza del "Parlamento Mondiale" in uno splendido racconto di Jorge Luis Borges, l'Omero di Buenos Aires. Novella da ripensare in un'epoca in cui due risultano essere le parole-chiave: mondialismo e globalizzazione, entrate di prepotenza nel linguaggio comune, spesso confuse ed erroneamente ritenute sinonimi.
   Nel dimostrare l'inutilità e la presunzione inevitabilmente insita nel tentativo di creare un unico organismo govemativo su scala planetaria (quell'insieme di sforzi che possiamo definire "mondialismo"), Borges non perse giustamente l'occasione per lodare il vero "Parlamento" mondiale: ovvero i singoli individui che, anche nel più totale anonimato, interagendo compongono quell'incontrollabile mosaico che è la storia. Il Parlamento Mondiale, dice il narratore argentino per bocca dei suoi personaggi, c'è già: siamo noi che con tutti i nostri atti, perfino i più semplici, finiamo per rappresentare l'unico governo "giusto" che possa esistere sulla Terra, ovvero quello di un individuo su se stesso. Auto governo, questo, perfettamente in accordo con quelli che sono invece i principi della globalizzazione: un fenomeno con caratterisfiche pressochè opposte, che propone non la centralizzazione di tutto il potere in un unico Stato, ma anzi lo smantellamento progressivo di tutti i vecchi Stati-Nazione, tramite la cancellazione delle dogane e l'abbattimento di ogni sorta di dazio. Con l'ovvia conseguenza di dare spazio a nuove realtà ancora tutte da scoprire.
   Non è un caso che Friedrich Von Hayek, premio Nobel 1974 per l'Economia, abbia dichiarato di essere totalmente contrario a un governo mondiale di qualsiasi forma: «Un governo mondiale molto buono sarebbe comunque una calamità, perchè precluderebbe la possibilità di sperimentare metodi alternativi». Cade dunque un tabù: cioè la paura (diffusa in ambienti vicini alla Lega) che la globalizzazione dei mercati - di cui Hayek fu strenuo propugnatore - debba portare a una omologazione culturale o istituzionale. Anzi. Giustamente Hans-Hermann Hoppe, studioso di ispirazione libertaria in forza all'Università di Las Vegas (che ebbe fra i propri insegnanti anche Murray N. Rothbard, il maggior teorico del libertarismo contemporaneo), in un recente saggio fa notare come l'integrazione politica e l'integrazione economica siano fenomeni completamente distinti. «L'integrazione politica - scrive Hoppe in "Federalismo o Stato Mondiale" (Ideazione, n. 4/98) -comporta una maggiore capacità per uno Stato di imporre tasse e di regolare la proprietà». Una centralizzazione del potere, per dirla con un lessico più familiare. Invece, «l'integrazione economica (cioè il mercato) rappresenta un'estensione della divisione interpersonale e interregionale della partecipazione al lavoro». Come potrebbe dunque la globalizzazione dei mercati implicare l'aumento della centralizzazione, addirittura a livello internazionale, tenendo conto che «in linea di principio tutti i governi riducono la partecipazione al mercato e la formazione della ricchezza economica»?
   Hoppe non ha certo difficoltà ad ammettere che «ci sono ragioni a favore della secessione  contrapponendo  l'integrazione forzata al separatismo volontario». II principale vantaggio di piccole unità statali in confronto ai "vecchi" Stati Nazionali è evidente: la compresenza su uno stesso territorio di tanti Stati diversi li pone inevitabilmente in concorrenza, «per evitare di perdere Ia parte più produttiva della popolazione, il governo è spinto ad adottare politiche interne più liberali». Non solo: più un Paese è piccolo, maggiore è lo stimolo a scegliere il libero mercato anzichè l'economia statalizzata.
   E viceversa, ovviamente: la globalizzazione si dimostra la migliore alleata della secessione, tant'è che Hoppe sostiene che «adottando un regime di libero scambio illimitato, persino il più piccolo dei territori può pienamente essere integrato nel mercato mondiale e usufruire di tutti i vantaggi della divisione del lavoro».
   Una visione, quella di Hoppe, ampiamente verificata dalla Storia recente. Già Hayek, nel 1949, scriveva in "Individualismo, quello vero e quello falso" (Rubettino Editore): «Oggi si può pensare, con ancora più forte ragione, che i paesi piccoli potranno diventare fra non molto tempo le ultime oasi dove la società libera verrà conservata. Potrebbe essere già troppo tardi per fermare il fatale corso della centralizzazione progressiva nei paesi più grandi». Parole drammaticamente confermate negli ultimi decenni, mentre di contro la globalizzazione dei mercati ed il "separatismo volontario" aprono nuovi spiragli per gli amanti della libertà. Peter Shwartz e Peter Leyden, brillanti saggisti già collaboratori della rivista-culto della generazione cyber, "Wired", hanno immaginato il corso di un "lungo boom" che abbraccia i trent'anni dall' 80 al 2020. In un singolare quanto affascinante volo pindarico (tradotto da "Aspenia") si susseguono nuove scoperte e cambiamenti epocali che si stanno già realmente verificando. La nascita dell'economia telematica è in realtà, con l'e-business che cresce numericamente giorno dopo giorno e il continuo spuntare di nuove realtà, last but not least il denaro informatico (E-Gold). Ancora: nuove ondate di innovazione tecnologica sono le inevitabili conseguenze di questo effervescente clima intellettuale, e ormai non è poi così folle immaginare, come fanno Schwartz e Leyden, che sia proprio l'economia di mercato a salvare il tanto disastrato ambiente. Tramite l'interazione di nuove tecnologie e senso del profitto che portano a un aumento delle risorse, in barba alle Cassandre di ogni epoca.
   In ultimo, è proprio la complementarità di autodeterminazione e globalizzazione che ridisegna i caratteri della società: finalmente più aperta, tollerante, soprattutto capace di accettare (e valorizzare) le reciproche differenze culturali.
   Sono questi gli occhi con cui gli spiriti liberi si accostano ai fenomeni attualmente in atto a livello internazionale.
   Ovviamente non è detto che questo sia inevitabilmente il loro risultato. E' proprio il liberalismo ad insegnarci che la storia non è mai predeterminata, mai scritta a priori, ma un magmatico mosaico sempre in movimento e pronto a rimescolarsi. La scelta, per gli uomini e i popoli è quella di sempre: diffidare della "superiore saggezza" dell'autorità costituita e cercare finalmente da soli la propria vita e la propria libertà, oppure chinare la testa innanzi a chi calpesta i loro diritti e farsi trascinare dai demagoghi di turno. La partita è ancora tutta da giocare.

Alberto Mingardi

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