Il Parlamento indaghi sull’affaire Telekom

“Il ministro degli Esteri fornisca urgentemente in Senato gli opportuni chiarimenti su un’operazione finanziaria, condotta dallo Stato italiano attraverso una società, che getta discredito internazionale sull’Italia”. Lo chiedono i senatori di Alleanza nazionale in un’interpellanza, primo firmatario il vicepresidente della Commissione Esteri Franco Servello, presentata ieri sulla vicenda Telecom Serbia. La polemica che ha colpito Lamberto Dini, dunque, continua. “E’ necessario sapere - dichiara Servello - se il governo italiano allora presieduto da Prodi fosse a conoscenza dell’operazione Telecom-Serbia e se il ministro Dini, effettivamente, l’abbia appresa solo dai giornali. Fatto, questo, che sarebbe estremamente grave. In particolare e’ indispensabile che il governo chiarisca se ed in quale misura la nostra politica nei Balcani sia stata influenzata dall’operazione Telecom con il risultato che le nostre azioni hanno ubbidito non ad un interesse di carattere generale ma solo affaristico”. 

Ci pensa poi Francesco Cossiga rincarare la dose: ‘’Adesso – ha aggiunto il senatore a vita in un’intervista a Radio Radicale - il Parlamento sta per chiudersi, e sinceramente nessuno più crede alle commissioni parlamentari d’inchiesta. Ma se fossimo in periodo di democrazia parlamentare ordinaria e fossimo con un Parlamento nuovo credo che questo sarebbe proprio il caso di istituire una commissione di inchiesta parlamentare’’. ‘’Non voglio esprimere giudizi su persone -spiega l’ex capo dello Stato- anche perché dell’affaire conosco soltanto quanto pubblicato dai giornali e una denuncia sull’Italia fatta a suo tempo da un deputato del Parlamento del Montenegro. Quando sono stato presidente del Consiglio dei Ministri mi sono occupato di questo problema delle mediazioni che talvolta nascondevano delle tangenti, e dovetti affrontare e gestire la famosa questione Eni Petromin. E posso dire questo: è proprio dei governi corrotti o corruttibili farsi pagare cosiddette mediazioni che poi sono tangenti. 

Astrattamente si può pensare che per giungere ad un accordo fra la Telecom italiana e quella serba sia stato necessario pagare una mediazione o un vero e proprio mediatore anche se la cosa mi sembrerebbe un po’ strana. Se fosse stato necessario questo per fare un buon affare io non mi sentirei di condannare i dirigenti ed i responsabili della Telecom italiana’’."Diverso -dice ancora Cossiga- è se ad esempio attraverso quest’affare noi avessimo finanziato Milosevic e il suo partito nazicomunista. In questo caso si sarebbe trattato di un atto di una gravità assoluta, considerato anche che Telecom in quel periodo non era ancora privata ed era pur sempre una società di un Paese che aveva una politica estera e militare non coincidente con quella di Milosevic’’. Cossiga si sofferma poi sul ruolo del ministro degli Esteri Lamberto Dini: ‘’Se una certa debolezza, per non dire propensione e per non dire simpatia del nostro ministero degli Affari Esteri, che tanti guai ha dato al presidente del Consiglio Massimo D’Alema durante le operazioni nel Kosovo, fosse stata determinata dalla necessità di coprire quest’affaire, allora la cosa sarebbe ancora più grave’’.

Perché Prodi aiutò il regime di Milosevic?
di Giancarlo Pagliarini

“…È un dato di fatto che il regime ha comperato la pace sociale e ha rilanciato la pulizia etnica in Kosovo con i soldi che l’Italia gli ha dato. È un dato di fatto che quel denaro italiano ha salvato il regime. È un dato di fatto che l’Italia manteneva rapporti cordiali con l’opposizione, ma poi faceva affari con il regime. È un dato di fatto che quei 1.500 miliardi hanno tenuto a galla Milosevic per altri tre anni. È un dato di fatto che Milosevic ha trasformato il denaro italiano in consenso politico e benzina per i tanks nelle operazioni di pulizia etnica nel Kosovo. Lei è venuto qui stamattina e ci ha detto: «se Roma avesse fermato la Stet, altre capitali avrebbero offerto a Milosevic una bombola di ossigeno». La domanda è: perché Roma ha offerto una bombola di ossigeno al Governo Milosevic? Lei ha detto: «agli atti del Tesoro non risulta niente su questa operazione». Allora chiudiamo il Tesoro, prevediamo qualcos’altro, mettiamoci qualcuno che lavori veramente, perché non è possibile che su una questione così significativa non risultino atti. 

Lei ha detto che questa acquisizione ha limitati profili strategici. Abbiamo salvato un Governo e questo è un limitato profilo strategico! Ha detto che non c’erano giustificazioni per un intervento del Governo. Allora cambiamo Governo, perché una cosa del genere non sta né in cielo né in terra! Ha detto - lo ha ricordato anche il collega - che nel febbraio 1997, tre mesi prima, l’ambasciatore a Belgrado ha riferito di voci di una possibile acquisizione. Allora, se c’erano queste voci, ammesso e non concesso che non sapevate niente, dovevate darvi da fare ed intervenire, perché non era una questione da niente. Lei ha anche parlato di tutela dei diritti umani fondamentali. Ma quei soldi sono stati usati per la pulizia etnica nel Kosovo. Alla faccia della tutela dei diritti umani fondamentali! Lei stesso oggi, parlando di Milosevic, lo ha identificato come il «dittatore serbo». Allora perché il Governo Prodi ha aiutato un dittatore?”

Giancarlo Pagliarini
Lega Nord, dall’intervento di ieri a Montecitorio

Quale fu il ruolo di Piero Fassino?
di Gustavo Selva

“…La Farnesina - lei ha detto stamane con grande enfasi e con grande amarezza - è stata coinvolta, a suo giudizio, in una vicenda che l’amareggia. La capisco ma allora perché non se ne è occupato politicamente? Forse se ne è occupato in un altro modo. Vengono tenuti all’oscuro i buoni rapporti felicemente stabiliti con quell’accordo con Milosevic, che ha comportato l’esborso dei soldi per l’acquisto del 29 per cento. Milosevic avendo ricevuto il versamento nelle proprie casse di questo fiume di denaro, ha pagato i militari (erano gli arretrati di quei militari che avrebbero combattuto contro il Kosovo) e le pensioni. Come fate allora a dire che quei soldi non sono serviti a nulla? Come fate a smentire l’affermazione che la riguarda personalmente, onorevole ministro, dell’attuale vicepremier serbo Zarco Korac, che ha dichiarato riferendosi a lei, che il suo è un «caso di cinismo politico» (la Repubblica del 16 febbraio). 

Ma il ministro Dini continua ad affermare che la vicenda gli era ignota. Gli tiene compagnia l’allora sottosegretario Piero Fassino, con delega specifica per i Balcani, che cade dalle nuvole. Interrogato durante la trasmissione televisiva Porta a Porta ha dichiarato che lui si interessava di grandi strategie. Capisco che Fassino abbia naturalmente aspirazioni molto ampie, ma delle grandi strategie non credo che in quel momento ne abbia avute a meno che lei non gli volesse affidare l’incarico di occuparsi della Telecom. Abbiamo riletto i resoconti stampa dei viaggi del sottosegretario Fassino (lei si è riferito particolarmente alla stampa e adesso glielo ricorderò). A proposito dei viaggi di Fassino, si scopre che in tutti i paesi da lui visitati, prima nella qualifica di sottosegretario per gli affari esteri e poi di ministro del commercio con l’estero, vi sia sempre stato il tema delle telecomunicazioni. Cito, tra gli altri paesi, il Marocco, la Turchia e l’Egitto…”.

Gustavo Selva
Presidente dei deputati di An, dall’intervento di ieri a Montecitorio

Un’operazione commerciale o politica?
di Marco Taradash

“…Signor ministro, è possibile che lei riduca un accordo di questo genere, con i 700 milioni di marchi pagati in contanti nelle ventisei ore successive alla stipula, soltanto ad un’operazione commerciale sulla quale il Governo non aveva nulla da dire né da sapere? Lei ci dice che non sapevate nulla e che l’operazione non vi riguardava: questo secondo me è un atteggiamento falso e, quantomeno, irresponsabile. Lei avrebbe dovuto sapere di questo accordo, avrebbe dovuto conoscerne i particolari perché esso coinvolgeva la politica estera italiana e le relazioni internazionali dell’Italia. Se non lo seppe fu perché non volle; ciò è altrettanto grave del fatto che lei avesse saputo e fosse stato a conoscenza dei particolari dell’operazione che oggi lei avrebbe avuto il compito di illustrare, ma non l’ha fatto. 

Non ci ha spiegato perché dal 1995 in avanti la Telecom fosse stata investita della proposta di acquisto e avesse valutato come inaccettabili le condizioni; perché improvvisamente, invece, l’accordo sia stato reso possibile addirittura con una supervalutazione da parte della società di consulenza italiana rispetto alla società di consulenza serba, vicenda che giustifica - e che, invece, lei avrebbe dovuto smentire - l’esistenza di una tangente del 3 per cento. Non ci ha spiegato dove sia finita questa tangente, perché l’accordo sia stato coperto dal segreto di Stato in Serbia, perché in Italia neppure il consiglio di amministrazione della Telecom ne sia stato a conoscenza, perché il presidente successivo della Telecom in via di privatizzazione, Bernabè, abbia disposto un’inchiesta che ha poi messo in luce che vi erano più punto oscuri che trasparenza all’interno dell’accordo. Tutte queste domande - ed altre che non ho il tempo di porre - le erano state già poste attraverso varie interpellanze, compresa la mia; lei ci ha parlato di politica estera: è stato un modo per eludere la politica estera…”

Marco Taradash
Riformatori, dall’intervento di ieri a Montecitorio

Telekom-Serbia: Dini non convince il Parlamento
di Dimitri Buffa

Se vi foste trovati nella scomodissima situazione in cui Dini ha dovuto oggi rispondere agli attacchi dell’opposizione sul ruolo del ministero degli Esteri e in genere del governo Prodi, Tesoro compreso, cioè Ciampi, in questa brutta storia dell’affaire Telecom Serbia, vi sareste mai fatti difendere in aula alla Camera da un Carneade come Lapo Pistelli del Ppi? Per Lamberto Dini non c’è stata scelta: o mangiava questa minestra o molto più verosimilmente usciva dalla finestra. Non un singolo rappresentante dei Ds, dei Verdi, della Margherita, dei Democratici, del Girasole si è alzato in sua difesa. Qualcuno come Elio Veltri ha parlato solo per fare accuse. Dini quindi ha dovuto accontentarsi di Lapo Pistelli e i risultati si sono visti. Eccome si sono visti. 

A puro titolo di esempio su che razza di avvocato d’ufficio la maggioranza avesse riservato a Dini è da citare integralmente questo passaggio che si trova a pagina 60 dello stenografico d’aula: “…debbo rivendicare a questo Governo e al suo ministro degli esteri di aver sempre avuto, in questi cinque anni, una diplomazia accorta ma non ambigua, prudente e realistica, che ha sempre accompagnato la stabilizzazione politica, penetrazione economica e commerciale ma anche la crescita dei diritti civili e politici nelle aree più delicate. Rivendico al Governo italiano e al suo ministro degli esteri di essere stato in questi anni Governo battistrada non soltanto nel delicato scacchiere balcanico ma anche in scacchieri che non sono oggetto della discussione odierna; penso alla Libia, all’Algeria, all’Iran, a paesi in cui abbiamo promosso la stabilizzazione politica, acquisito delle benemerenze e dei crediti per il nostro sistema economico; ciò lo abbiamo sempre subordinato ed accompagnato ad un incentivo al ripristino di un pieno godimento dei diritti civili e politici in quei paesi. 

“Senonchè ieri Dini non aveva nemmeno bisogno del cattivo difensore sceltogli dalla maggioranza, ormai pronta a scaricarlo, per soccombere: all’inizio del proprio intervento infatti, con la più classica delle excusatio non petitae, ci è riuscito benissimo da solo: “la recente inchiesta giornalistica sulle telecomunicazioni serbe non meriterebbe da parte del Governo e, a maggior ragione, da parte di questa Assemblea, la benché minima attenzione - ha detto, sprezzante del ridicolo - senonché sui risultati di quell’inchiesta si è voluto imbastire un florilegio di illazioni e di deduzioni, oltreché di errori, per sostenere che, dietro all’acquisizione di una partecipazione nella Telekom Serbia da parte della Stet si nascondeva un perverso disegno del Ministero del quale sono titolare, quello di aver fornito scientemente, attraverso la relativa operazione finanziaria una boccata di ossigeno al regime di Milosevic. Nulla di più falso, nulla di più fuorviante. “

Dini ha scambiato le proprie paure, i propri sensi di colpa politici con la realtà, in questo caso. La maggior parte delle interrogazioni parlamentari su cui ha creduto di rispondere tirandosi fuori, da quella di Taradash a quella di Tassone, passando per quella del rifondarolo Ramon Mantovani, fino a giungere al culmine di quelle del capogruppo leghista Giancarlo Pagliarini e di quello di Forza Italia Beppe Pisanu erano di ben altro tenore: volevano sapere il ruolo del Tesoro e della Farnesina, volevano sapere chi ha pagato e chi ha ricevuto tangenti. E su questo, come su altri moltissimi interrogativi come quello sul ruolo di Piero Fassino, allora sottosegretario agli Esteri, e i suoi contemporanei dieci viaggi a Belgrado proprio nel periodo dell’affare (circostanza sottolineata da Dario Rivolta di Forza Italia), sarà ben presto la magistratura a dare qualche risposta. 

Sempre che non venga accolta la proposta dello stesso Pisanu che sull’intera vicenda vorrebbe una bella commissione parlamentare ad hoc. Il ruolo cinico dell’Italia in Serbia, sollevato per la prima volta in relazione all’affare Telecom proprio dal senatore Piero Milio della lista Pannella con due interrogazioni risalenti al luglio 1997, riguarda aspetti di contorno etico. La ciccia sono qui soldi che presto potrebbero diventare per questa maggioranza ciò che la tangente Enimont è stata per la prima repubblica.

Dimitri Buffa

Pisanu: “Le undici domande (e più)
che il ministro ha preferito eludere”

Pubblichiamo uno stralcio dell’intervento del presidente dei deputati di Forza Italia Giuseppe Pisanu nel corso del dibattito parlamentare che ha fatto seguito alle magre risposte del ministro degli Esteri Lamberto Dini.

“…Eccole, signor ministro, le prime dieci domande che le sue dichiarazioni hanno lasciato totalmente inevase. Prima domanda: per quali ragioni una operazione di così grande portata economica e di così vaste implicazioni politiche è stata affidata ad una società di diritto olandese, controllata dalla STET International SpA, a sua volta controllata da STET Società finanziaria, all’epoca controllata dal Tesoro e, successivamente, fusa con Telecom? Insomma, si è affidata ad una società di infimo ordine un’operazione straordinaria e di eccezionale importanza. Seconda domanda: chi furono i percettori finali dei versamenti effettuati dalla STET sui conti della Paribas Banque di Francoforte e della Bercley’s Bank di Londra? A quale cifra ammontavano esattamente, e a quale titolo furono realmente disposti? 

Terza domanda: quali attività svolse l’UBS di Zurigo ed in base a quali elementi, in veste di advisor, avrebbe stimato per circa 900 miliardi di lire il 29 per cento di Telekom Serbia? Una partecipazione che valeva molto meno e che, infatti, fu successivamente iscritta a bilancio per soli 400 miliardi! E si badi bene, onorevoli colleghi: a quel momento non avevamo ancora bombardato con i nostri aerei gli impianti che avevamo comprato con i nostri soldi (i soldi di Pantalone!). Quarta domanda: si può sapere qual è l’ammontare esatto delle somme sborsate direttamente o indirettamente, a qualsiasi titolo, dalla STET o da Telecom per l’acquisizione di Telekom Serbia e se le cifre stesse corrispondono a quelle iscritte a fronte nei bilanci delle società eroganti che hanno pagato? 

Quinta domanda: per quali ragioni l’amministratore delegato di Telecom Italia, Tomaso Tommasi di Vignano, firmatario del contratto dell’acquisto di Telecom, disattese il rapporto della società di revisione Cooper e Laiband, che bocciò il primo bilancio della Telekom Serbia privatizzata perché vi si sovrastimavano gli utili e il capitale? Sesta domanda: è ragionevole considerare una normale commissione per una «prestazione professionale» la parcella di 960 mila marchi, circa un miliardo di lire, riconosciuta al conte Gianni Vitali, compagno di caccia di Milosevic? Ho citato l’espressione del Wall Street Journal, ma, se l’amico Mancuso mi concede il copyright, potrei dire «compagno di merende» di Milosevic 

Settima domanda: esistono davvero clausole segrete del contratto Telecom Italia-Telekom Serbia rientranti in un giro di tangenti europee ideato dal regime di Belgrado nel 1997, come sostiene il giornale spagnolo La Vanguardia, anche dopo le rivelazioni de la Repubblica? Se esistono, qual è il loro contenuto? Per quali motivi i responsabili di STET e Telecom le hanno celate non solo agli organi societari, ma anche ai ministri competenti e controllanti? Ottava domanda: qual è il ruolo svolto da Dojcilo Maslovaric, intermediario dell’affare Telecom al tempo in cui era ambasciatore di Milosevic presso la Santa Sede, ambasciatore che lei, signor ministro Dini, ha dichiarato di non aver mai conosciuto? 

Nona domanda: è vero che il Governo di Belgrado pose il segreto di Stato sul contratto di vendita? Per quali motivi lo fece? Quei motivi, comunque, avrebbero dovuto essere, per legge, notificati al Governo italiano. Possibile che nessuno ne sappia nulla? Decima domanda: corrisponde a verità quanto dichiarato a Il Messaggero dall’ex ambasciatore jugoslavo Maslovaric, secondo il quale la tangente di 32 miliardi sarebbe stata pagata dai serbi a consulenti inglesi, mentre gli italiani avrebbero pagato all’UBS in Svizzera? Undicesima domanda: a chi si riferisce il Presidente jugoslavo Milosevic quando afferma, come riportato da la Repubblica, che il danaro della tangente fu destinato «A quei mafiosi di italiani»? Sottolineo che, stando ad indiscrezioni recenti, la circostanza sarebbe stata confermata nei giorni scorsi durante l’interrogatorio dell’ex ambasciatore Maslovaric da parte delle autorità giudiziarie italiane. 

Ancora domande. A parte le tangenti già individuate, comunque, che si possono far passare per compensi di carattere professionale - diciamo così - resta da vedere se non vi siano state tangenti ancor più ingenti che Milosevic e i suoi compari poterono prelevare direttamente, senza alcun rischio, dai sacchi che una banca greca riempì di marchi tedeschi. Onorevoli colleghi, tra gli aspetti grotteschi e sconcertanti di questa vicenda, vi è anche questo aspetto: il pagamento dell’enorme cifra di 1500 miliardi di lire fu effettuato in contanti e fatto subito pervenire a Milosevic che lo spese fino all’ultimo marco. Lo spese per pagare che cosa? Le pensioni arretrate, i paramilitari e i militari della pulizia etnica in Kosovo, oppure «quei mafiosi di italiani»? Signor ministro, debbo chiederle ancora - le chiedo scusa, ma le domande non finiscono mai - se, comunque, a prescindere da tutto ciò, risulti agli atti della Presidenza del Consiglio o dei ministri competenti una qualche documentazione scritta, di qualsiasi natura che provi, come è dovuto per legge, che la Telecom o la STET informarono le autorità di Governo e se, a seguito di ciò, ricevettero eventuali risposte. 

Le risposte date finora da coloro che, a vario titolo, si sarebbero dovuti occupare del problema sono a dir poco sconcertanti. Comincio citando sempre risposte virgolettate di Tomaso Tommasi di Vignano, amministratore delegato di STET, il quale ha detto: «di tangenti, di beghe internazionali, di problemi interni della Serbia io non so assolutamente nulla. Ho condotto una trattativa molto complessa durata circa tre anni e mezzo e della quale ho sempre reso conto a chi di dovere. Io non ho mai parlato dell’operazione al ministro Dini, ma con il Ministero degli esteri inteso come struttura». Lei, signor ministro Dini, lo ha contraddetto clamorosamente, dicendo invece: «Noi della Farnesina siamo completamente estranei. Né io né il Ministero ci siamo occupati di queste cose. Sono assolutamente all’oscuro. L’ho saputo dai giornali a contratto firmato e me ne rallegrai. Sono cose che possono chiarire solo i ministri dell’epoca. Io posso parlare per me, non di altri». 

Guido Rossi, presidente della Telecom, si è limitato a dire, lapidario: «Sono sconcertato». A Prodi, Presidente del Consiglio del tempo, non risultava neppure la presentazione di interrogazioni parlamentari sull’argomento, che invece risultano regolarmente agli atti della Camera. Per il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Micheli la transizione esulava totalmente dal suo ruolo e dalle sue competenze. Fassino, sottosegretario agli esteri con delega o comunque con particolare competenza per i Balcani, non ha saputo nulla, se non dai giornali. Insomma, onorevoli colleghi, alle domande scomode il Governo risponde sempre allo stesso modo, come il più omertoso dei testimoni barbaricini: non ho visto e non ho sentito nulla...”.

Tutto il materiale qui riportato è stato pubblicato sul quotidiano L'Opinione: grazie di esistere!

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